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“Logistica, 434 milioni di iva evasa recuperati con le inchieste sui big”: recita così il titolo di un articolo riportato sul Sole 24 Ore. Come è ormai noto, infatti, le indagini condotte negli ultimi quattro anni nel settore della logistica hanno portato ad un recupero di quasi mezzo miliardo di iva nonché alla stabilizzazione di migliaia di lavoratori, impiegati precedentemente nell’appalto, presso le aziende committenti.
Il quadro accusatorio si ripete, almeno nei principali presupposti: se il contratto di appalto (o subappalto) non presenta – nella forma e nella sostanza – i caratteri della genuinità individuati dalla legge e dalla giurisprudenza si configura una somministrazione illecita di manodopera, con conseguente possibile accusa di utilizzo di fatture per operazioni giuridicamente inesistenti, frode fiscale e contributiva, sfruttamento dei lavoratori, concorrenza sleale, ecc.
Tuttavia, se in passato venivano indagati principalmente gli psudo-appaltatori (o subappaltatori) – che si presentavano spesso nella forma di cooperative spurie o fittizie – negli ultimi anni l’attenzione sembra essersi spostata su chi, difatto, risulta essere il beneficiario finale dell’operazione: l’impresa committente che decide di avvalersi delle prestazioni altrui mediante la stipula di contratti di appalto e/o subappalto.
Tale fenomeno (che non sembra arrestarsi) comporta, da un lato, una profonda revisione dei modelli sottesi alle logiche organizzative fino ad ora praticate nel settore, con la conseguenza che sempre più imprese stanno valutando – più o meno volontariamente – l’internalizzazione (almeno) delle attività di logistica e movimentazione delle merci. E, dall’altro lato, si avverte con sempre più urgenza l’acquisizione di una maggiore consapevolezza, da parte dei committenti, sia nella scelta di un modello organizzativo aderente al quadro normativo di riferimento, sia nella individuazione dei soggetti qualificati a cui affidare le attività che si intendono esternalizzare, mediante un controllo responsabile sull’intera filiera degli appalti.
Ed è in questa prospettiva che si inserisce il recente ripristino del meccanismo del cosiddetto “reverse charge”, ad opera dell’ultima Legge di Bilancio (l. 30/12/2024, n. 207), fortemente voluto da associazioni datoriali come Assologistica.
Il reverse charge (inversione contabile) si sostanzia nel meccanismo per cui l’iva viene pagata da chi riceve la prestazione, attuando una vera e propria inversione del pagamento dell’imposta. Nel caso di specie sarà dunque l’impresa committente che, con la finalità di contrastare i fenomeni di evasione, garantirà tale versamento assolvendo il richiamato obbligo al posto del fornitore (ergo, l’appaltatore).
L’art. 1, co. 57 della Legge di Bilancio 2025, in vigore dal 1° gennaio 2025, è intervenuta modificando l’art. 17, co. 6,lett. a-quinquies del DPR 633/1972, prevedendo limiti precisi e un perimetro ben delimitato per l’utilizzo del reverse charge. Nello specifico, tale meccanismo può essere attuato per le imprese che svolgono attività di trasporto e movimentazione di merci e prestazioni di servizi di logistica in caso di esternalizzazioni delle attività tramite “contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati” in cui vi è un “prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest’ultimo [committente] o ad esso riconducibili in qualunque forma”. Fanno eccezione le operazioni effettuate nei confronti delle amministrazioni pubbliche e di altri enti e società (articolo 17-ter, DPR n.633/1972) e di agenzie per il lavoro (comma 57).
In altre parole, al fine dell’attuazione dell’inversione contabile iva, devono sussistere almeno quattro condizioni: (1) attività di trasporto e/o di logistica; (2) appalto (o altro rapporto negoziale diversamente denominato) cosiddetto labour intensive, cioè ad alta intensità di manodopera; (3) appalto (o altro rapporto negoziale diversamente denominato) endoaziendale, cioè svolto presso i locali del committente; (4) strumenti e mezzi del committente (o comunque ad esso riconducibili).
Tuttavia merita evidenziare che l’efficacia della disposizione in parola e, dunque, del meccanismo di reverse charge, è subordinato al rilascio, da parte del Consiglio dell’Unione Europea, di una autorizzazione speciale prevista dall’art. 395 della Direttiva 2006/112/CEE. Ed invero, l’art. 395 richiamato prevede il rilascio della suddetta autorizzazione al fine di introdurre misura speciali in deroga alla citata direttiva, quali il reverse charge, finalizzate a semplificare la riscossione dell’imposta o ad evitare elusioni fiscali o evasioni.
A tal proposito, infatti, l’introduzione di un simile sistema nel nostro ordinamento non è del tutto nuovo. Un tentativo era stato effettuato ad opera del d.lgs. n. 124/2019, in cui si prevedeva l’estensione del reverse charge in caso di affidamento di opere o servizi mediante contratti di appalto, subappalto, affidamenti a consorziate o altri rapporti negoziali con prevalente utilizzo di manodopera, a prescindere dal valore economico dell’affidamento, per attività realizzate presso il committente, con uso di beni strumenti del committente o ad esso riconducibili.
L’intervento normativo del 2019, tuttavia, non teneva conto dei limiti imposti dalla Direttiva 2006/112/CEE, con la conseguenza che la Commissione Europea, con comunicazione del 22 giugno 2020 al Consiglio dell’Unione Europea, ha arrestato l’estensione di tale meccanismo ai sensi dell’art. 395 richiamato.
Oggi – memori anche dell’esperienza passata e, dunque, in attesa dell’autorizzazione speciale ai sensi dell’art. 395 della Direttiva – il prestatore dei servizi (appaltatore) e il committente, possono accordarsi affinché l’iva venga versata direttamente da quest’ultimo in nome e per conto del prestatore. Nell’ambito del richiamato regime transitorio, l’accordo tra i soggetti interessati, di una durata massima di 3 anni, deve essere comunicato all’Agenzia delle Entrate tramite un apposito modello. In questo scenario, a fronte delle fatture emesse dal prestatore ai sensi dell’art. 21, DPR 633/1972, il committente dovrà versare l’imposta, ai sensi dell’articolo 17, d.lgs. n. 241 del 1997, senza possibilità di compensazione, entro il termine del mese successivo alla data di emissione della fattura. In caso di versamento dell’imposta non dovuta il committente potrà richiedere il rimborso, se dimostra l’avvenuto pagamento. Committente e prestatore rimangono in ogni caso responsabili in solido per il versamento dell’iva, anche in caso di sanzioni (comprese fra 250 euro e 10.000 euro).
Da ultimo, merita tuttavia ricordare che il reverse charge è solo una delle misure che contribuiscono a garantire la legittimità delle esternalizzazioni.
Parallelamente – e in attesa dei decreti attuativi del meccanismo richiamato – gli operatori del settore che vogliono operare con responsabilità e consapevolezza in contesti normativi certi con regole chiare, possono sottoporsi al vaglio delle commissioni di certificazione ai sensi dell’art. 84, d.lgs. n. 276/2003 al fine di valutare i propri contratti di appalto e subappalto nel rispetto della legislazione di riferimento. Uno strumento, quello della certificazione, che permette non solo di accertare, dal punto di vista legale, la genuinità dei contratti stipulati (con notevoli benefici in termini di certezza del diritto) ma che incide altresì sul piano reputazionale e di responsabilità (anche) sociale dei committenti, chiamati sempre più spesso ad effettuarepuntuali controlli sulle proprie filiere di appalti e subappalti onde evitare responsabilità legali (anche) penali.
Giada Benincasa
Vice-Presidente della Commissione di certificazione DEAL dell’Università di Modena e Reggio Emilia