17/03/2014
La
portualità italiana ha chiuso il 2013 con volumi (tonnellate di merci
movimentate) complessivamente ancora inferiori rispetto al 2007, prima dell’inizio
del periodo di crisi. Oltre alle difficoltà comuni ad altri settori
industriali, come alto costo del lavoro e tassazione elevata, duplicazioni
burocratiche, incertezze normative e crediti alle imprese, negli anni della
crisi il settore portuale ha sopportato un eccessivo incremento degli oneri, ad
esempio aumento dei canoni concessori e delle tasse e dei diritti portuali. Il
gigantismo navale e la concentrazione fra gli operatori comportano la necessità
di nuovi importanti investimenti da parte delle società terminalistiche e
scelte di programmazione delle opere pubbliche mai fatte fino ad ora, con un
assetto normativo come quello della Legge 84/94 che non si riesce ad adeguare
alle esigenze del mercato. Il disegno di legge di riforma all’esame del Senato è
peggiorativo rispetto all’esistente, presentando nuovi vincoli alla libertà e
all’organizzazione del lavoro e con una evidente inadeguatezza dei regimi concessori
per nuovi investimenti e per fine periodo. Assiterminal chiede prima di tutto
certezza e ragionevolezza delle regole, ad iniziare dalla normativa fiscale
(per esempio definitiva chiarezza sulla non imponibilità Ici/Imu sulle aree
demaniali in concessione ai terminalisti portuali), sicurezza e security
(guardie giurate, Sistri). Poi modifiche ai termini di fine concessione e l’ammodernamento
della normativa su appalti pubblici, unificazione e concentrazione temporale
dei controlli sulle merci nei porti da parte delle Amministrazioni pubbliche
sull’esempio di quanto da anni in atto nei porti del Nord Europa. Con una serie
di altre misure a costo zero (quali riduzione della burocrazia, semplificazione
di procedure) è possibile a breve un abbassamento di costi e un miglioramento
di efficienza. Inoltre è necessario un piano nazionale dei porti coerente con
gli orientamenti comunitari circa la rete transeuropea dei trasporti.
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