21/03/2013

Industria alimentare, Federalimentare lancia l’allarme

Nel 2012 l’industria alimentare, secondo settore produttivo dopo il manifatturiero, paga un prezzo sempre più alto al protrarsi della crisi, che alla recessione dei consumi nazionali aggiunge sfide sempre più ardue sui mercati esteri. E, alle soglie del 2013, arrivano tre concreti segnali di preoccupazione per la competitività del settore, con valori di segno negativo sul fronte degli investimenti (dal 58% al 45% le imprese che effettueranno investimenti nel prossimo biennio), dell’occupazione (persi 5.000 posti di lavoro) e dell'accesso al credito (un terzo delle imprese che hanno chiesto un fido ha avuto un esito negativo, con risposte inferiori alle richieste o con richieste non accolte). A lanciare il grido d''allarme è Federalimentare, in occasione della presentazione del bilancio 2012 dell’industria alimentare Italiana e della valutazione delle prospettive per il 2013. “Nella crisi non esistono isole felici - dichiara Filippo Ferrua Magliani, presidente di Federalimentare - Finora l'industria alimentare ha saputo confermare la sua vocazione alla qualità, ma l’erosione dell''occupazione, la riduzione della propensione agli investimenti e la difficoltà nell''accesso al credito sono il riflesso di una spirale involutiva del Paese che ci fa guardare al futuro con preoccupazione. Per sostenere l’industria buona, portiamo all’attenzione del nuovo Governo un documento programmatico su alcune aree di intervento di rilancio del settore (fisco, internazionalizzazione, politiche europee, educazione alimentare e ricerca e innovazione). Bisogna in particolare ridurre la pressione fiscale fermando ogni tassazione impropria, come food tax o accise, contrastare l’aumento dell’aliquota del 21% previsto a luglio 2013 e ridurre l’incidenza fiscale dei costi di trasporto e dell’energia; sostenere l''internazionalizzazione, adottare una politica fieristica chiara e lungimirante e lottare contro la contraffazione; partecipare attivamente al dibattito sulla revisione della PAC, in particolare riguardo ai temi dell’approvvigionamento e della security alimentare".

OCCUPAZIONE, IN SOLI 2 ANNI PERSI 5000 POSTI DI LAVORO
L'occupazione del settore alimentare chiude il 2012 con un valore di segno negativo per il 6,6% delle imprese. Una erosione dei livelli occupazionali, derivante dalla mancata sostituzione del turn over fisiologico, che si traduce in circa 5mila posti di lavoro in meno negli ultimi due anni. Secondo l'analisi congiunturale Format Research-Federalimentare, condotta su un campione di 1.000 imprese del settore distribuite nell’intero territorio nazionale, sono infatti circa il 10% le aziende che hanno dichiarato di aver dovuto ridurre l''organico. Va però rilevato che, di contro, circa il 4% delle imprese prevede nuove assunzioni nel 2013.

MENO IMPRESE INVESTIRANNO NEL BIENNIO 2013-14
Emerge anche il ruolo dell’industria alimentare come driver del tessuto economico italiano per quanto concerne gli investimenti: il 45% delle imprese alimentari ha dichiarato di essere intenzionato a effettuare investimenti nel prossimo biennio, con un calo di circa 13 punti percentuale rispetto al 2011-2012. ACCESSO

CREDITO, LE BANCHE LATITANO
La ricerca Format/Federalimentare rivela che in un anno un terzo delle aziende che hanno fatto richiesta di accesso al credito ha visto accordato un ammontare inferiore a quello richiesto o ha visto la richiesta non accolta. Va anche rilevato che ad essere penalizzate sono soprattutto le piccole realtà, dato che le condizioni del credito applicate alle aziende alimentari peggiorano man mano che la dimensione occupazionale di queste ultime diminuisce.

I DATI DEL FATTURATO

Secondo le stime del Centro Studi Federalimentare nell'anno appena concluso il fatturato dell'industria alimentare ha raggiunto i 130 miliardi di euro, con un aumento del 2,3% sul 2011 legato esclusivamente all’effetto prezzi. Infatti la produzione in termini quantitativi è calata dell’1,4% sull’anno precedente a parità di giornate lavorative. Va sottolineato comunque che, rispetto al livello di “picco" pre-crisi del 2007, la produzione 2012 dell’industria alimentare cede “solo" 2,5 punti, a fronte dei 22,9 punti dell’industria italiana nel suo complesso.

CONSUMI ALIMENTARI, 20 MILIARDI DI EURO IN MENO IN 5 ANNI

D'altra parte, rispetto alla solidità dimostrata dal settore a livello produttivo, la crisi dei consumi interni ha colpito il settore in modo più pesante rispetto alla media del Paese. I consumi alimentari degli ultimi 12 mesi hanno registrato una flessione del -3%. Un dato a prima vista non così eclatante rispetto alle perdite subite da altri comparti industriali (uno tra tutti, l'automobilistico). Ma che corrisponde – visti gli enormi volumi che muove questa industria - a una perdita in valore di 6,8 miliardi di euro. Pari a 10 volte il mercato di computer, smarthphone e tablet, 10 volte gli incassi dell'industria cinematografica, 3 volte il business del calcio e il doppio di quello del libro. Ma se consideriamo l’arco gli ultimi 5 anni (2007-2012), il calo della spesa alimentare tocca i 10 punti percentuali (-20 miliardi di euro), il doppio rispetto alla contrazione dei consumi nazionali complessivi, che, in valuta costante, hanno accumulato una perdita di 5 punti in termini concatenati (come se non fossimo mai andati al ristorante e in pizzeria nell’ultimo anno e mezzo).

LA CRISI COLPISCE IL VALORE AGGIUNTO: - 4 PUNTI DAL 2007
Il “dimagrimento" dei consumi ha innescato, negli ultimi anni, il calo di una variabile strategica come il valore aggiunto espresso dal settore alimentare, sceso, dal 2007 a oggi, di quattro punti in valori concatenati. Compriamo di meno e scegliamo prodotti più economici. Il prezzo è ormai la principale variabile di scelta del consumatore, ma neanche le promozioni operate dalla GDO riescono a incentivare i consumi. La perdita di capacità di acquisto delle famiglie ha portato quindi, pesanti penalizzazioni a un settore che gioca sulla qualità la propria identità e la propria immagine detenendo il record UE per numero di prodotti a denominazione garantita, con oltre 210 unità riconosciute DOP e IGP e 530 prodotti nella piramide del vino. Eppure anche in un momento difficile per l'economia del Paese, l’industria alimentare è riuscita a contenere i prezzi dei prodotti alimentari, confermando il suo ruolo calmieratore: nel tempo, infatti, le dinamiche dei prezzi alimentari al consumo (e più ancora a monte, a livello di prezzi alla produzione) sono state inferiori all’inflazione. E questo, malgrado le due impennate (2007-2008 e 2011-2012) delle quotazioni delle commodity agricole, tanto più gravi per un paese strutturalmente importatore di materie prime come il nostro. Secondo elaborazioni del Centro Studi Federalimentare, i prodotti dell’industria alimentare hanno registrato nel gennaio scorso un +2,0% sullo stesso mese del 2012, confermandosi sotto il tasso di inflazione (+2,2%). Diversa la dinamica dell’alimentare “fresco", che invece ha registrato a gennaio una netta accelerazione, segnando un +4,8% sui dodici mesi. In realtà, sono ben altre le voci che gravano sul “carrello della spesa" degli italiani. Basta dire che, sull’arco gennaio 2012 - gennaio 2013, i prodotti energetici sono saliti del +5,4%.

EXPORT (24,8 MILIARDI DI EURO) a +8%
Con i consumi interni in recessione, l''export rappresenta una importante valvola di sfogo e di redditività per il settore: nel 2012 tocca i 24,8 miliardi di euro, +8% sul 2011 e un'incidenza sul fatturato totale dell''industria alimentare del 19%. E’ la percentuale più alta di sempre, ma inferiore a quella di Germania, Francia e Spagna, che oscillano tra il 22% e il 29%, e circa la metà di quella del manifatturiero italiano nel suo insieme (37%). Contribuisce a questo gap la grande frammentazione di un settore composto per lo più da piccole e piccolissime aziende, che hanno maggiori difficoltà ad andare sui mercati più lontani e promettenti. Guardando agli sbocchi del made in Italy, l'anno scorso l’area UE (+4,9%, con punte del +6% in Germania, Francia e UK) è stata meno dinamica rispetto ai mercati extra-comunitari. Gli USA hanno registrato un +9,7%, mentre le crescite più significative si sono registrate nei mercati emergenti. Medio Oriente, con Emirati Arabi Uniti (+41,5%), Arabia Saudita (+29,1%) e Turchia (+38,5%). Estremo oriente, con Cina (+20,6%), Giappone (+21,2%) e, soprattutto, Thailandia (+38,5%), Corea del Sud (+25,9%) e Hong Kong (+19,3%). Significativi anche gli spunti di il Messico (+35,2%) Russia ( +19%) e Ucraina (+18,0%). Pesa sulle potenzialità del nostro export il fenomeno della contraffazione e dell’Italian sounding, che sfiora i 60 miliardi di euro di fatturato e raggiunge livelli macroscopici sui mercati più ricchi, come quello nord-americano. È questa sicuramente l’unica voce premiante e anticiclica del settore, ma purtroppo anche sul piano delle esportazioni solo l’allargamento degli sbocchi potrà consentire di preservare, sul lungo passo, stabilità e spazi significativi di espansione del comparto.
Share :

Recent Post