Si fa un gran parlare, anche nell’ambito della logistica, di criteri “ESG”. Ma di che cosa si tratta esattamente e quali soggetti sono tenuti ad applicarli? L’acronimo inglese “ESG” (Environmental, Social, Governance) sta ad indicare le misure in tema di sostenibilità nella triplice declinazione ambientale, sociale e di governo dell’impresa.
Nelle normative di matrice europea “ESG” si traduce nell’obbligo di divulgazione, in un’apposita sezione della relazione di gestione del bilancio aziendale, di una serie di informazioni, cosiddette di carattere non finanziario, sulle modalità con cui l’impresa tutela l’ambiente (“E”), rispetta i diritti sociali dei lavoratori e ne migliora le condizioni di lavoro (“S”), adotta un sistema di governo e di amministrazione trasparente, anche al fine di prevenire fenomeni corruttivi (“G”).
I criteri ESG sono peraltro destinati ad accrescere la loro importanza.
Se infatti oggi solo gli “enti di interesse pubblico di grandi dimensioni” sono tenuti a pubblicare le informazioni di carattere non finanziario, con la Direttiva dell’Unione Europea 2022/2464 (che gli Stati membri dovranno recepire entro il 6 luglio 2024), l’obbligo viene esteso a tutte le società e ai gruppi normativamente definiti “di grandi dimensioni”, oltre che a tutte le piccole e medie imprese quotate in borsa.
Gli obblighi relativi alle dichiarazioni sui criteri ESG avranno una ripercussione anche sui fornitori dei soggetti tenuti a rendere le dichiarazioni, dato che le stesse dovranno riguardare anche i “principali impatti negativi, effettivi o potenziali, legati alle attività dell’impresa e alla sua catena del valore, compresi i suoi prodotti e servizi, i suoi rapporti commerciali e la sua catena di fornitura”.
Per quanto riguarda in particolare la sostenibilità ambientale, la stessa si traduce in azioni tese ad assicurare la protezione e la valorizzazione delle risorse naturali attraverso l’adozione di soluzioni aventi il minor impatto possibile sull’ambiente.
Sul fronte della pianificazione sovracomunale, sono stati approvati Piani Metropolitani della Logistica Sostenibile, ad esempio dalle Città Metropolitane di Roma Capitale, di Milano e di Bologna, con l’obiettivo di dettare strategie e misure per un’organizzazione della logistica maggiormente sostenibile sotto il profilo ambientale.
A sua volta il Piano Territoriale della Regione Lombardia, con riferimento alla realizzazione di magazzini di stoccaggio e di gestione delle merci e di piattaforme logistiche, prevede che ogni istanza debba essere valutata anche sulla base di uno studio di sostenibilità ambientale e territoriale.
Anche nel campo della logistica vengono inoltre rilasciate, su richiesta degli operatori, certificazioni di sostenibilità ambientale quali LEED o BREEAM.
Si tratta di sistemi di certificazione volontaria del grado di sostenibilità globale di un edificio attraverso l’attribuzione di punteggi a fronte dell’esame di tutti gli aspetti ambientali (quali per esempio l’esistenza di soluzioni idonee ad abbattere le emissioni di CO2, l’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, fino all’analisi dell’intero ciclo di vita dell’immobile).
Meritano poi una particolare menzione, sotto il profilo della tutela e del recupero dell’ambiente e del territorio, i progetti di insediamento di attività logistiche negli ambiti di rigenerazione urbana.
L’intervento su aree ed immobili dismessi (i cosiddetti “brownfield”) consente infatti di riqualificare parti del territorio degradate e al contempo di evitare il consumo di nuovo suolo.
Tuttavia, perché tali iniziative possano davvero risultare sostenibili anche sotto un profilo strettamente economico, è auspicabile che vengano introdotte a livello normativo misure incentivanti la realizzazione di interventi di rigenerazione urbana quali riconoscimento di bonus volumetrici, significative riduzioni dei contributi di costruzione e possibilità di realizzare gli interventi di bonifica (sovente estremamente costosi) a scomputo degli oneri di urbanizzazione.
Riccardo Marletta