30/04/2020

Parla Alberino Battagliola, consigliere di ANRA

La pandemia ha messo sotto gli occhi di tutti quanto il risk managament non debba essere più visto come l'equivalente di un mero centro di costo, ma come un’opportunità per una più moderna e strutturata cultura del rischio, anche per le PMI. Ma quali le lezioni e le conseguenze che l’emergenza sanitaria stanno creando anche a chi della gestione del rischio ha fatto la sua professione? Lo abbiamo chiesto ad Alberino Battagliola, consigliere di ANRA, associazione che dal 1972 raggruppa i risk manager e i responsabili delle assicurazioni aziendali. 

 


Alberino Battagliola



Innanzitutto un parere su come pensa sia stata gestita fin qui l’emergenza sanitaria a livello di sistema paese?

Le nostre autorità hanno seguito le direttive fornite dall’OMS e dall’istituto Superiore di Sanità. Una ulteriore conferma che il nostro paese ha fortunatamente un sistema sanitario di livello alto. Abbiamo affrontato il distanziamento sociale, riducendo quasi completamente i contatti tra le persone, sobbarcandoci un costo elevatissimo sulla nostra economia. Le decisioni prese sono state impattanti sull’intero sistema paese, ma abbiamo, a mio avviso, puntato le attenzioni e le energie sul decongestionare l’intera struttura sanitaria onde evitare un collasso che avrebbe portato a disastri sociali ancora più importanti. Queste decisioni hanno sbilanciato la crisi verso l’intero tessuto economico, ma le misure chieste e che sembra siano adottate in termini di adeguato sostegno ai settori più colpiti, anche con il supporto dell’Unione Europea, fanno ben sperare per una ripresa il più veloce possibile. Questo è però un tema che andrà trattato quando si potrà avere una misura reale delle conseguenze economiche della situazione attuale. Per ora possiamo trarre un insegnamento da questa esperienza: il rischio deve sempre essere considerato come una componente fondamentale in una gestione responsabile delle attività, a tutti i livelli.

 

 

E che idea si è fatto delle modalità con cui le imprese (anche del mondo della logistica e dei trasporti) hanno risposto in questa prima fase all’emergenza?

Sul tema logistico, direi che abbiamo registrato un maggiore impatto in termini di impegno lavorativo in questo periodo, sostanzialmente dovuto agli spostamenti tra le regioni e anche attraverso le nazioni. La quarantena degli autisti dislocati nelle varie “zone rosse" ha provocato impatti organizzativi maggiori, dovuti sostanzialmente alla revisione del sistema di rotazione della forza lavoro. Ripercussioni importanti sul bilanciamento dei viaggi (il Nord di fatto chiuso ha mutato completamente la tratta logistica, sbilanciando il relativo rientro). Il blocco del traffico di passeggeri dei traghetti verso la Sardegna ha avuto evidenti ripercussioni sugli spostamenti logistici. Nonostante tutto, l’equilibrio dei traffici è sempre stato garantito, oserei dire in maniera brillante, ma registrando impatti economici da non sottovalutare (extra costi che hanno notevolmente inciso sui risultati).


 

 

Compito del risk manager è quello di identificare, anticipare e risolvere le criticità che possono danneggiare un'azienda - dal punto di vista finanziario, operativo o della sicurezza - ed è responsabile dello sviluppo di strategie, processi e sistemi per la gestione e il monitoraggio dei rischi, a difesa della continuità aziendale. Fatta questa premessa, quali possono essere – in senso lato per le aziende - le linee guida da seguire per far fronte alla cosiddetta “fase 2" dell’emergenza?

A gennaio 2020 nell’ultimo survey del World Economic Forum di Davos, nella classifica dei top 5 rischi in termini di probabilità e impatto, vi era riportato sì il rischio sanitario, ma come ultimo dopo quello geopolitico, socio-economico, legato alla frammentazione digitale ed ambientale. Si scriveva proprio che “Le malattie non trasmissibili, come quelle cardiovascolari o mentali, hanno sostituito le malattie infettive come causa principale di morte, mentre la crescente longevità e i costi sociali ed economici per la gestione delle malattie croniche hanno messo sotto pressione i sistemi sanitari di molti Paesi". Il virus ha, quindi, sovvertito le priorità d’azione per i sistemi-paese a livello globale, che al di là degli urgenti e tragici aspetti sulla salute delle persone, determinerà un rallentamento globale in tutte le economie. Uno dei punti deboli più evidenti è quello legato alla supply chain, la cui paralisi nelle economie interconnesse attuali, sta provocando ingenti danni, anche se la reale entità delle conseguenze del Covid-19 sul nostro tessuto socio-economico si potrà, forse, valutare in maniera completa almeno tra un anno. Al momento, circa il 75% delle imprese ha già accusato un impatto sulla propria supply chain a causa delle restrizioni logistiche legate all’epidemia Covid-19. Va detto che piani di emergenza e di business continuity devono essere stati già predisposti in un’ottica di gestione del rischio strutturata e non possono essere improvvisati nel momento dell’emergenza. È a priori che l’impresa deve valutare la propria dipendenza da un fornitore strategico e quanto della sua business continuity è legato ad un singolo supplier: in questo senso la sua centralità deve essere gestita, o riducendo la dipendenza o pretendendo da lui una determinata capacità di gestire il suo rischio.

 

 

E poi quali consigli e raccomandazioni si possono fornire alle imprese per il dopo-covid19 inteso in senso più lato?

Tale esperienza, se non altro, può risultare utile per la definizione e l’orientamento della propria strategia nel gestire la crisi e sviluppare la resilienza anche dopo la fine dell’emergenza, adottando un approccio “full risk management". Il risk managament si pone sempre come nodo fondamentale in tutte le organizzazioni moderne. Prima della diffusione del Covid-19, si continuava ad affermare che la cultura del risk management era diffusa all’interno della propria organizzazione, i cui principali rischi identificati erano di natura operativa, percepiti come i più concreti e di maggiore portata per l’organizzazione. La crisi che stiamo vivendo, ha sicuramente accelerato il processo di adozione di pratiche di gestione del rischio, con effetti anche nelle aziende meno strutturate. Ecco quindi che una nuova sensibilizzazione sul tema risulterà utile per affrontare i cambiamenti dello stile di consumo che sono già in atto (dall’incremento dell’e-commerce, la fruizione di determinati sistemi di pagamento, ecc.) e che perdureranno oltre i termini temporali della pandemia. Dovremo inoltre consolidare il lavoro da remoto (con le dovute differenze tra quello che è un semplice telelavoro e una vera e propria metodologia di lavoro agile), scongiurare la crisi di redditività, oltre che fare della digitalizzazione la chiave per ripensare al business e alla relazione con i consumatori.



 

 

La componente “rischio sanitario" quanto era presa in considerazione prima dell’emergenza coronavirus e quanto lo dovrà essere da adesso in poi? Si dovranno concepire KPI ad hoc per la gestione del rischio sanitario?

L’emergenza imposta dal coronavirus ha reso necessaria l’immediata adozione di misure e protocolli d’urgenza per la sicurezza dei lavoratori contro la minaccia del contagio. Ritengo che nulla sarà più come prima, nel senso che le misure che oggi tutti conosciamo e che, in qualche modo e in diverse misure, ci coinvolgono, diventeranno un modus operandi per tutte le attività commerciali e industriali e non solo (penso alla didattica e alle scuole di ogni ordine e grado, per non parlare dello sport nel suo complesso). Il rischio sanitario, dunque, ha scalato notevolmente i posti nella graduatoria degli scenari dei prossimi anni a cui aggiungo, come mio parere, una altrettanto adeguata e una rivisitazione completa dei sistemi di approvvigionamento dei dispositivi medico/sanitari per non farci di nuovo trovare impreparati di fronte alle emergenze (quante mascherine, guanti, indumenti sterili, sono mancati o hanno raggiunto destinazione con notevoli ritardi di fornitura). Insomma, anche qui, e ho avuto altre volte occasione per manifestarlo, la figura del ‘clinical risk manager’ deve essere al centro e/o di supporto nelle organizzazioni dedite all’health care strategy.

 

 

A quali ulteriori sistemi di controllo e piani di intervento strategico occorrerà prestare maggiormente attenzione?

A questa domanda, ho in parte forse già risposto all’interno delle altre; ritengo comunque che quanto affrontato oggi, era tra le avvisaglie in documenti, studi e analisi di chi si occupa quotidianamente di risk management. Quindi, sistemi di controllo e piani di intervento a cui prestare maggiore attenzione sono già alla luce di quanto sistematicamente si cerca di studiare e porre all’attenzione di chi si occupa di queste cose. La pandemia lo ha affermato: l’importanza del ruolo di chi possa comprendere i rischi, pianificare la gestione delle crisi e prevederle è ormai sul tavolo di discussione e decisione di tanti imprenditori e CdA.



 

 

Quanto importante sarà il coinvolgimento del personale e conseguentemente la sua formazione?

Per attuare completamente e sistematicamente i nuovi paradigmi c’è bisogno di uno sforzo collettivo che coinvolga sia il management che i dipendenti, e molto passa dalla formazione per acquisire e allenare sia soft che hard skill. In quest’ambito si stanno moltiplicando iniziative (tante anche gratuite) a cui accedere: formazione online, webinar, tanto per citarne qualcuna. Tali investimenti in tempo e denaro per la formazione rientrano in una visione a tutto tondo della cultura del rischio, perché danno all’azienda la possibilità di essere proattiva e flessibile in termini organizzativi, qualora si verificasse un evento inaspettato. Adottando un approccio di risk management che prevede l’utilizzo di analisi di scenario quale strumento di discussione per le strategie di business, dove intuito, competenza, flessibilità e rapidità di analisi e di azione saranno elementi chiave per poter propendere per un tale scenario, minimizzare gli impatti negativi e rendere forte e sicuro il business. Riflettiamo dunque di nuovo, ma in modo molto attento, sul fatto che il risk managament non sia più visto come l'equivalente di un mero centro di costo, ma come un’opportunità per sviluppare e valorizzare una più moderna cultura del rischio, anche per le PMI.

 

Che ruolo pensa possa giocare la tecnologia nelle future operazioni di security?

Concludo dicendo che da questa esperienza in realtà stiamo uscendo fuori come persone sempre più tecnologiche e molto flessibili anche ai cambiamenti così repentini. La tecnologia ci supporta in maniera completa e decisamente user friendly dandoci la possibilità di organizzare al meglio le nostre attività e guadagnando in termini di efficienza/efficacia. Partendo da questo nuovo modello di business, lavorativo e non, il ruolo tecnologico e di security dovrà essere sempre più potenziato al fine di garantire elevati livelli di performance. La sicurezza dei protocolli Internet nelle future reti 5G introduce alcuni aspetti che risulteranno cruciali per la difesa dai futuri attacchi informatici. La situazione già abbastanza difficile dal punto di vista tecnico, si complica ulteriormente se aggiungiamo i dubbi circa un utilizzo legittimo da parte degli operatori di rete delle proprie apparecchiature e connessioni. La guerra commerciale tra USA e Cina, che coinvolge ultimamente anche i fornitori cinesi di apparati di telecomunicazione, non fa che rendere più fosco il quadro entro cui cercare soluzioni al problema. Numerose sfide digitali si presentano all’orizzonte nei prossimi mesi: non solo 5G ma anche Blockchain, Intelligenza Artificiale, Quantum Computing, Criptovalute e Big Data saranno il terreno di grandi battaglie sia sulle capacità tecniche sia sugli aspetti diplomatici e di potere. Cercare un coordinamento tra le grandi aziende del pianeta su aspetti di sicurezza può diventare estremamente difficoltoso.


A cura di Ornella Giola

 

 

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