22/06/2012
Quale è l’incidenza della divisione da lei diretta?
L’Overseas genera il 6% del fatturato per Gefco Italia e il 10% per l’intero gruppo. E’ dall’inizio della crisi che il nostro gruppo ha rivisto la propria strategia di sviluppo, puntando su tre asset, uno dei quali è appunto il “freight forwarding" (assieme alla logistica automotive e a quella inbound per il settore manifatturiero). Dalla percentuale indicata sono esclusi i traffici relativi all’automotive, filiera che gode di una gestione a parte, anche per quel che riguarda le spedizioni via mare.
Quali sono i trend di mercato per l’Overseas?
Nel 2012, in seguito alle gravi perdite degli scorsi anni, molti vettori hanno ridotto le loro capacità di stiva e accorpato servizi, aumentando al contempo le tariffe, sebbene l’import stia perdendo gravi quote di mercato (-30%), specie per quel che riguarda beni finiti di consumo (abbigliamento, scooter, ecc.). Lavorare con questi presupposti sta davvero “affliggendo" tutto il settore. A fronte di un import in forte perdita l’export sta crescendo di pari se non con maggiore entità, in particolare per quel che concerne food (specie olio e vino), macchinari e – in misura minore – il fashion. Le esportazioni da noi gestite sono dirette soprattutto verso Cina, India e Sud America (Brasile, Argentina, Cile e Messico). Quanto all’import la parte del leone la fa la Cina, seguita a distanza da India, Corea, Vietnam e Nord Africa.
Che strategie avete adottato per riuscire in qualche modo a riequilibrare questa situazione?
Siamo andati a cercare i clienti là dove sono e riempito i passaporti dei nostri manager e collaboratori con visti di India, Sri Lanka, Bangladesh, Stati Uniti, Sud Africa, ecc. Del resto, vista anche la tendenza delle nostre PMI a privilegiare contratti FOB, è in questi Paesi che si prendono le decisioni e si è anche maggiormente tutelati nel pagamenti (specie in questi momenti di crisi con oggettiva mancanza di liquidità).
di Ornella Giola
L’Overseas genera il 6% del fatturato per Gefco Italia e il 10% per l’intero gruppo. E’ dall’inizio della crisi che il nostro gruppo ha rivisto la propria strategia di sviluppo, puntando su tre asset, uno dei quali è appunto il “freight forwarding" (assieme alla logistica automotive e a quella inbound per il settore manifatturiero). Dalla percentuale indicata sono esclusi i traffici relativi all’automotive, filiera che gode di una gestione a parte, anche per quel che riguarda le spedizioni via mare.
Quali sono i trend di mercato per l’Overseas?
Nel 2012, in seguito alle gravi perdite degli scorsi anni, molti vettori hanno ridotto le loro capacità di stiva e accorpato servizi, aumentando al contempo le tariffe, sebbene l’import stia perdendo gravi quote di mercato (-30%), specie per quel che riguarda beni finiti di consumo (abbigliamento, scooter, ecc.). Lavorare con questi presupposti sta davvero “affliggendo" tutto il settore. A fronte di un import in forte perdita l’export sta crescendo di pari se non con maggiore entità, in particolare per quel che concerne food (specie olio e vino), macchinari e – in misura minore – il fashion. Le esportazioni da noi gestite sono dirette soprattutto verso Cina, India e Sud America (Brasile, Argentina, Cile e Messico). Quanto all’import la parte del leone la fa la Cina, seguita a distanza da India, Corea, Vietnam e Nord Africa.
Che strategie avete adottato per riuscire in qualche modo a riequilibrare questa situazione?
Siamo andati a cercare i clienti là dove sono e riempito i passaporti dei nostri manager e collaboratori con visti di India, Sri Lanka, Bangladesh, Stati Uniti, Sud Africa, ecc. Del resto, vista anche la tendenza delle nostre PMI a privilegiare contratti FOB, è in questi Paesi che si prendono le decisioni e si è anche maggiormente tutelati nel pagamenti (specie in questi momenti di crisi con oggettiva mancanza di liquidità).
di Ornella Giola
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