16/07/2012

Wine&food: la Cina chiama, l'Italia risponde

Si è concluso l China Business Incubator, il primo appuntamento del progetto lanciato per conto del consorzio Italia del Gusto da Gea, società di consulenza strategica indipendente che da 46 anni accompagna le imprese italiane nella loro crescita. Focus della due giorni di lavoro - che si è svolta presso la sala dei 300 delle Fiere di Parma, coorganizzatore della manifestazione - il mercato cinese e i rapporti commerciali col settore alimentare italiano. Le aziende di Italia del Gusto, consorzio che comprende le più importanti realtà italiane del settore wine&food, hanno incontrato infatti i principali importatori e distributori dell’area di Shanghai che hanno illustrato le opportunità e le chiavi di accesso al loro mercato, sia in termini di tipologie che di presentazione dei prodotti. Per supportare i contatti di business delle aziende, alla manifestazione hanno preso parte attiva Intesa Sanpaolo, il ministero della Salute, l’ICE Centrale e l’Ufficio di Shanghai, Simest, Sace, e la Fondazione Italia China. “Le aziende italiane hanno bisogno di molta informazione e formazione per capire il mercato cinese: quello dell’alimentare è un settore complesso, con una cultura diversa dalla nostra e tradizioni alimentari antiche. Al momento in Cina c’è una presenza diffusa del food&wine italiano, ma è ancora poco estesa per poter essere rilevante", hanno ricordato in apertura dei lavori Mario Preve e Alberto Volpe, rispettivamente membro del board e direttore di Italia del Gusto. Il mercato cinese è infatti aperto alle aziende alimentari italiane, ma occorre fare grande attenzione a come si entra in questa realtà complessa. I prodotti italiani più richiesti sono, nell’ordine, vino, olio, caffè, cioccolato, pasta e formaggio (fonte Metro China) e per proporli ai consumatori cinesi servono piani di fattibilità assai ben studiati. Grande conoscenza delle leggi e della cultura cinese e in particolare dell’area dove si vuole investire; partner locali che favoriscano l’approccio alla distribuzione e attività “educative" per far conoscere i prodotti prima di passare alla vendita, sono le tre fasi più importanti evidenziate dagli importatori. Oggi le aziende italiane presenti in Cina sono 900 e il volume d’ affari tra Italia e Cina nel 2011 si è attestato a circa 51 miliardi di dollari. Delle 900 aziende presenti sul mercato, diverse sono del comparto alimentare. “L’export globale dell’alimentare made in Italy vale 33 miliardi di euro – ha ricordato Antonio Cellie, ceo di Fiere di Parma - e circa 3 miliardi sono fatturati overseas. Di questi, circa un terzo è realizzato in Cina". L’export del settore wine&food “made in Italy" verso la Cina è cresciuto nell’ultimo anno del 36%, con un fatturato complessivo di oltre 248 milioni di euro. In particolare, il mercato delle bollicine sembra essere molto attrattivo per i buyers del Paese del Dragone, se consideriamo che lo scorso anno le vendite hanno registrato un incremento del 236%. Naturalmente ai prodotti italiani vanno applicate etichette esplicative in lingua cinese, ma facendo attenzione a non coprire troppo l’etichetta originale. “Per i cinesi di fascia alta, vino italiano significa lusso, tradizione, storia e l’etichetta racconta l’impegno antico delle famiglie italiane produttrici di vino", ha detto Manuel Arce di CWS, società specializzata da anni nella commercializzazione di vino e liquori in Cina. Nel Paese inoltre c’è ancora molto spazio di crescita per il vino italiano: nonostante il boom dello spumante, il nostro Paese è al quarto posto nella classifica dell’import cinese, dopo Francia, Australia e Cile. Rimanendo in campo enologico - ma la regola, è stato più volte evidenziato nel corso dei lavori, vale anche per tutti gli altri prodotto del settore food - le fasi cruciali sono fondamentalmente tre: educational/degustazioni/vendita. Nonostante il successo evidenziato per esempio dalla crescita della vendita dei prodotti vinicoli, a Parma è stato sottolineato come esistono ancora grandissime barriere non tariffarie che rallentano e in molti casi bloccano le esportazioni di prodotti alimentari “made in Italy" in Cina. Per questo da tutta la platea del China Business Incubator è arrivato un appello pragmatico ad ambasciate, ministeri e istituzioni: concentriamoci sull’abolizione delle barriere non tariffarie. Luigi Consiglio, presidente di Gea, ha evidenziato l’importanza di questa iniziativa per offrire alle imprese gli strumenti necessari e per favorire i contatti con i distributori orientali. “Si tratta di un modello di ‘fiera al contrario’ dove non sono le aziende a cercare le opportunità commerciali ma sono i distributori e gli importatori per i canali supermercati e ho.re.ca. a offrire alle aziende un supporto per espandere il loro business in Cina. Il tutto con una serie di suggerimenti anche pratici su come impostare ad esempio la comunicazione destinata a questo mercato e per presentare il prodotto italiano in modo da attrarre i consumatori del Paese". E proprio sulla presentazione dei prodotti ha insistito Hiufan Tsang, rappresentante di Sinodis, società cinese specializzata nell’import e nella distribuzione alimentare che ha evidenziato come “servono etichette in cinese, un packaging più in sintonia con la cultura orientale, meglio ancora se realizzato ex novo proprio per questo mercato". Tsang ha poi sottolineato come nell’export verso la Cina sia importante la ‘shelf life’ dei prodotti, ovvero l’arco temporale della durata del prodotto stesso. Fresco a parte, molte referenze viaggiano ancora via mare per cui per esempio un prodotto congelato con ‘shelf life’ di sei mesi, ha un tempo reale di vendita sugli scaffali di circa tre settimane.“Ricordatevi – ha aggiunto Tsang – che finire sugli scaffali dei negozi cinesi non basta, bisogna frequentare il mercato per capire cosa funziona e cosa no, è indispensabile avere persone sul posto che verificano quello che succede. Da lontano non si può fare nulla". Cesare Romiti, presidente della Fondazione Italia Cina che poche settimane fa ha accompagnato nel viaggio a Pechino il premier Mario Monti, ha evidenziato come “la Cina, con il Pil in crescita, nonostante la crisi mondiale, continua a rappresentare un’opportunità per il nostro Paese. Ma per entrare in Cina servono preparazione e umiltà". Romiti ha inoltre illustrato due importanti progetti che la Fondazione Italia Cina sta portando avanti con il ministero degli Affari Esteri, 9 regioni italiane e il Governo cinese. Il primo, denominato “Guangdong Italy Traineeship" si pone come obbiettivo il rafforzamento delle relazioni economiche tra le nove regioni partner e la provincia del Guangdong attraverso azioni di formazione e di traineeship rivolti a dirigenti/manager privati delle regioni italiane e del Guangdong e la realizzazione di momenti pubblici. Il progetto è rivolto alle imprese e nella selezione dei partecipanti si terrà conto delle filiere di maggior rilievo in termini di opportunità in una prospettiva di incontro tra offerta di competenze italiane e potenzialità di collaborazione e sviluppo anche commerciale con l’imprenditoria cinese e, più in generale, con la domanda di questo mercato. Il secondo progetto, in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna, prevede la realizzazione di una missione plurisettoriale di imprese della regione che avranno incontri istituzionali e di business con controparti cinesi, sia a Hong Kong che nella provincia del Guangdong. Di particolare interesse per i partecipanti al China Business Incubator di Parma, infine lo spaccato sulla cultura cinese presentato da Francesco Boggio Ferraris, direttore della scuola di formazione permanente della Fondazione Italia Cina. Per avere successo e fare breccia su questo mercato è importante infatti non solo conoscere e adattarsi agli usi e alle consuetudini locali ma soprattutto avvicinarsi a una cultura così diversa da quella occidentale, cercando di contenere le emozioni e imparando ad ascoltare. Senza avere fretta, perché non bisogna essere impulsivi per conquistare la fiducia dei consumatori cinesi.
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