29/07/2015

Per una logistica sostenibile occorre più intermodalità

Nel percorso della merce da porta a porta, da origine a destinazione, la compatibilità ambientale, che è il tema della nostra associazione SOS-Logistica, può essere migliorata agendo su una molteplicità di fattori: l’organizzazione del trasporto, i combustibili alternativi, la logistica collaborativa per ridurre i ritorni a vuoto, il trasporto combinato ferro-mare, e così via. Fattori, questi, che per semplicità possono essere raggruppati in due grandi categorie: migliorare la sostenibilità monomodale, cioè della modalità stradale oggi largamente prevalente soprattutto in Italia, oppure combinare la strada con altre modalità (ferro, mare, fiume) più rispettose dell’ambiente. 

Vorremmo qui concentrarci su questo secondo aspetto: il trasporto intermodale. Da circa 15 anni la commissione europea ne ha fatto la sua bandiera, almeno da quando Loyola De Palacio, commissaria ai Trasporti, pubblicò il famoso Libro Bianco nel 2002. Nei documenti comunitari successivi l’intermodalità ha cambiato nome regolarmente ogni tre anni - co-modalità, mutlimodalità, plurimodalità - forse per mascherare gli insuccessi, ma non ha perso la sua centralità. Almeno a parole… La verità è che in quest’ultimo decennio la quota di merce trasportata via treno è diminuita in tutti i Paesi membri dell’Unione europea, con l’eccezione di Germania e Austria. E Svizzera che, guarda caso, non è Paese membro. In questi paesi la ferrovia è aumentata perché sono stati adottati potenti strumenti di sostegno del trasporto su ferro, e cogenti limitazioni al trasporto stradale. 

Le “autostrade del mare", molto sbandierate, partite molto bene nel quinquennio 2004-2009, non hanno proseguito nella crescita negli ultimi cinque anni, certo per effetto della crisi economica, ma anche perché Il programma Marco Polo, che delle “autostrade del mare" è stato il principale finanziatore, è stato soppresso da ormai tre anni. 

In Italia le cose non sono andate certamente meglio. Dopo due leggi, agli inizi del nuovo millennio, di incentivazione del trasporto combinato con la creazione del “ferro bonus", e successivamente dell’alternativa marittima con l’istituzione dell’“eco bonus", che hanno dato buoni risultati nel quinquennio successivo, a partire dal 2009 tutto si è fermato: le finanziarie annuali non hanno più alimentato le due leggi, e al momento attuale non esiste alcun incentivo all’intermodalità. Peggio: da alcuni anni, sotto la pressione del ricatto del blocco stradale, il Governo delibera leggi annuali ad hoc di sostegno all’autotrasporto, che in minima parte favoriscono come dovrebbero le concentrazioni aziendali e gli avanzamenti tecnologici, ma per l’80% si trasformano in rimborsi del prezzo del gasolio e dei pedaggi autostradali. 

Per chi avesse ancora dei dubbi, nell’ultimo decreto interministeriale n°130 del 29 aprile 2015, su 250 milioni di euro di risorse per l’autotrasporto, solo 50 milioni sono disponibili per ristrutturazioni, formazione e investimenti in tecnologie, contro 200 milioni per rimborsi a piè di lista: 120 per pedaggi autostradali, 20 per contributi SSN e 60 per rimborsi spese non documentate (sic!). E il provvedimento “eurovignettes", proposto a livello comunitario per disincentivare lunghe percorrenze su strada, non a caso viene sistematicamente osteggiato dai rappresentanti italiani nel parlamento e consiglio europeo: quindi mentre gli altri Paesi penalizzano le lunghe tratte autostradali, noi ne rimborsiamo i pedaggi a carico del contribuente. 

La conseguenza è che il differenziale di costo/km che inizialmente era fortemente a vantaggio di mare e ferrovia, di anno in anno viene eroso dal combinato disposto di una strada sempre più assistita e di modalità alternative non più incentivate. In campo ferroviario, i dati della flessione sono molto significativi: dal 2008 allo scorso anno, la quantità di merce trasportata su ferro si è ridotta del 40% (passando da 70 milioni di treni km a 44 milioni a fine 2014), anche per effetto della politica dell’operatore monopolista che ha recentemente soppresso il trasporto su carro singolo. Le “autostrade del mare" non stanno meglio: erano partite bene nel periodo 2004-2009, con la creazione di RAM – Rete Autostrade del Mare – unica società pubblica europea interamente dedicata allo sviluppo dell’alternativa marittima. I transiti su nave erano più che raddoppiati, togliendo due milioni di mezzi pesanti ogni anno dalle autostrade italiane, e portando la quota delle “autostrade del mare" dal 2% al 4.5% del trasporto merci nazionale. Oggi si assiste alla chiusura di molte linee per le isole, è stato sospeso da alcuni anni il collegamento con la Francia (Sète), e la relazione Italia-Spagna soffre dell’eliminazione dell’ecobonus. 

In conclusione, questo è certamente il terreno dove un Governo che afferma di voler cambiare potrebbe dimostrare di farlo davvero, promuovendo l’intermodalità non soltanto a parole. E il Piano strategico nazionale della portualità e della logistica attualmente in discussione potrebbe essere il veicolo adatto. Se si vuole veramente cambiare, le proposte di SOS-Logistica vanno in tre direzioni: 
1. ridurre il supporto all’autotrasporto sulle lunghe percorrenze (le speranze sono tenui, dato che il decreto 130 già stanzia analoghe somme - 250 milioni di euro - per il 2016 e 2017); 
2. rifinanziare l’ecobonus, come più volte promesso, per il rilancio delle “autostrade del mare"; 
3. incentivare il trasporto merci su ferrovia, utilizzando tutti i fondi stanziati fino al 2014 per il servizio universale merci di Trenitalia che ammontano a circa 100 milioni di euro l'anno. 

di Fabio Capocaccia 
Presidente Istituto Internazionale delle Comunicazioni e consigliere SOS-Logistica (partner di Assologistica)
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