06/05/2015
È urgente ripensare i processi di gestione della domanda e della supply chain
delle imprese alimentari italiane: per sostenere il valore di prodotti eccellenti senza essere sopraffatti
dalla crescente complessità del mercato; per recuperare margine ed efficienza, sfruttando al meglio la
capacità produttiva di impianti spesso sovradimensionati; per muoversi con successo verso nuovi confini.
Questo, in sintesi, quanto emerge dall’indagine realizzata da GEA Consulenti di Direzione e ASSET,
presentata in occasione del convegno “Food Boost – Liberare l’eccellenza con la supply chain"
che ha visto la partecipazione di oltre 200 rappresentanti dell’industria del food&beverage, secondo
settore manifatturiero a livello nazionale con 6.800 imprese e € 133 miliardi di fatturato.
Con l’obiettivo di sondare il livello di evoluzione del settore alimentare italiano nei processi di previsione
della domanda e pianificazione delle operazioni aziendali, l’indagine ha costituito il punto di partenza di
un dibattito volto a comprendere in quale misura essere eccellenti in questi ambiti costituisce un
reale vantaggio competitivo, in particolare per lo sviluppo sui mercati esteri.
L’indagine GEA-ASSET ha preso in considerazione un campione selezionato di 30 aziende italiane –
rappresentativo di tutte le categorie merceologiche dell’industria alimentare e di diversi livelli di
grandezza e fatturato – analizzandone l’assetto organizzativo (dipendenze gerarchiche, responsabilità
operative e gestionali, momenti di condivisione interna delle informazioni), le performance (livello di
servizio erogato e impegno del capitale circolante) e le prassi adottate nella gestione dei processi di
demand management e operations planning, nonché gli strumenti informativi a supporto.
In particolare, il panel di intervistati è composto in prevalenza di imprese del settore beverage (36%),
seguito da caffè e dolciumi (20%), pasta e bakery (16%), carne e salumi (16%), latte e derivati (16%) e
comparto ortofrutticolo (4%). Più dell’80% sono aziende grandi (44% con più di 250 dipendenti) e
medie (40% tra 50 e 250 dipendenti); in termini di fatturato, per il 36% delle imprese coinvolte è
compreso tra 100 e 500 milioni di euro, per il 24% tra 50 e 100 milioni, superando il miliardo di euro nel
20% dei casi, per un giro d’affari complessivo di oltre € 20 miliardi. Per il 44% del campione, l’export
rappresenta meno del 10% del fatturato e solo per il 16% la percentuale supera il 50%; mentre la quota
derivante dalla GDO rappresenta oltre la metà del fatturato per due terzi delle imprese, superando l’80%
nel 40%. Tutte le aziende prese in esame – concentrate prevalentemente nel centro-nord Italia (28% in
Lombardia, 24% in Emilia Romagna e 20% in Veneto) – hanno la produzione in Italia, di cui la maggior
parte con 1 o 2 stabilimenti produttivi.
I risultati dell’indagine – “Sales & Operations Planning: No Man’s Land"
I risultati dell’indagine evidenziano come la necessità di ripensare i processi di pianificazione e gestione
della domanda e delle operations sia un tema particolarmente sentito tra le imprese dell’alimentare
italiano. Solo un terzo degli intervistati, infatti, si ritiene soddisfatto dei processi adottati
attualmente dalla propria azienda e il 50% conferma di avere intrapreso una revisione di tali
procedure, concentrandosi soprattutto sul demand management.
Di fronte alla diffusa incapacità di realizzare previsioni oculate, la grande maggioranza delle imprese
sopperisce alla difficoltà di anticipare la domanda affrontando il mercato in ottica perlopiù reattiva. Se,
da un lato, solo il 25% degli intervistati ritiene di avere una buona accuratezza delle forecast,
dall’altro più dell’80% sostiene di avere performance eccellenti nella flessibilità di risposta al
cliente, pagando tuttavia un costo elevato in termini di efficienza interna e di impegno di capitale
circolante.
Questa elevata variabilità e scarsa prevedibilità della domanda impatta fortemente sulle
attività di pianificazione e sui processi produttivi, tanto che meno di un quarto delle aziende del
campione riesce ad avere più di una settimana di orizzonte congelato.
Guardando agli aspetti che ad oggi contribuiscono a rendere soddisfatti il 30% dei rispondenti in materia
di demand planning, a fare la differenza sono la raccolta di più informazioni bottom-up dalla forza
vendita e sulle promozioni dei clienti (nel 90% dei casi), una maggiore frequenza di aggiornamento
delle previsioni (più che mensile per il 65%) e l’utilizzo di algoritmi a supporto (75%). Aspetti che si
riflettono anche sulle aziende più soddisfatte del proprio operations planning che, potendo contare su
una buona accuratezza previsionale della domanda (63% degli intervistati) riescono a garantire alla
produzione un orizzonte congelato (nel 75% dei casi) e, quindi, a limitare al minimo le inefficienze, pur
rivedendo spesso i piani.
In generale, tuttavia, si rilevano livelli di maturità differenti nella definizione dei ruoli deputati a
gestire l’interfaccia tra la domanda e supply chain.
Oltre il 50% delle imprese coinvolte non ha un
processo definito per il demand management, che risulta o del tutto inesistente (26%) oppure
assimilato alle vendite (26%) denotando grande confusione circa i confini di responsabilità tra le varie
funzioni aziendali. Laddove esiste un’unità dedicata alla gestione della domanda (48%), questa fa
capo prevalentemente all’area supply chain (55%). Entrando nel dettaglio dei tre livelli:
- quando il ruolo del demand manager è inesistente, le performance aziendali sono basse, vi è una
scarsa visibilità sul mercato in quanto le informazioni sono raccolte solamente dalle vendite, l’export
conta per una piccola percentuale del fatturato (10% circa) e vi è una limitata incidenza delle promozioni.
La maggiore preoccupazione di queste aziende risiede nel rispondere alla crescente complessità del
settore.
- se è assimilato alle vendite, le performance sono mediamente buone, vi sono da 3 a 5 persone che
se ne occupano ma vi è una forte distinzione tra chi ha la responsabilità di gestire il mercato rispetto a
chi si occupa della supply chain, l’export conta per il 20%-30% del fatturato e vi è un’incidenza delle
promozioni fino al 50%.
La principale criticità per questo tipo di imprese consiste nel gestire in maniera
efficace il coordinamento interno tra le diverse funzioni.
- laddove esiste un’unità dedicata, le performance sono alte e la funzione dispone solitamente di
molte risorse, che realizzano previsioni raccogliendo informazioni attraverso meeting periodici
interfunzionali e tenendo conto sia della BaseLine sia delle promozioni, che anche in questo caso hanno
un’alta incidenza; l’export rappresenta oltre il 50% del fatturato e la produzione è spesso legata a
un’elevata stagionalità. La difficoltà per queste aziende sta nel gestire al meglio la collaborazione con gli
attori esterni della filiera (fornitori e retailer).
Infine, alla luce della crescente necessità di amministrare grandi volumi di dati complessi, diventa
fondamentale avvalersi di adeguati strumenti informativi che siano di effettivo supporto ai processi
decisionali e operativi dell’azienda, in un’ottica quanto più integrata. Ciononostante, guardando al
campione di imprese interpellate, si evidenzia un’elevata frammentazione anche nell’utilizzo dei
sistemi informatici. Spesso la scelta di soluzioni diverse, che tendono a tenere separati il demand
planning (DP) dall’operations planning (OP) ostacola l’adozione di un approccio realmente
interfunzionale e flessibile. In particolare: il 23% degli intervistati utilizza Excel quale unico programma
a supporto per entrambe le funzioni; i sistemi ERP sono utilizzati dal 18% per il DP e dal 27% per l’OP,
sebbene molto spesso integrati con Excel (rispettivamente nel 75% e 83% dei casi); il 59% si avvale di
un sistema verticale o software ad hoc per il DP, in linea con quanto accade per l’OP (50%), sempre
sfruttando anche Excel per alcune funzionalità (62% DP vs 9% OP).
Il quadro complessivo che emerge dall’indagine GEA-ASSET sul food italiano è quindi quello di un settore
in cui è sempre più forte l’esigenza di evolvere verso nuove prassi virtuose, che favoriscano
l’adozione di un unico processo integrato di Sales & Operations planning, basato su un ascolto più
attento del mercato e dell’azienda stessa, per raccogliere le informazioni utili al processo su vari fronti,
con rapidità e precisione; una maggiore collaborazione, sia tra le diverse funzioni aziendali sia verso
l’esterno, con clienti e fornitori; una misurazione più efficace delle performance del processo e un
nuovo approccio all’innovazione, che sappia guardare ad esempi eccellenti anche fuori dal proprio
settore, per ripensare a proprio vantaggio le regole del gioco.
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