02/11/2015

Spesa Pubblica, ma quanto ci costi?

Volete sapere quale è l'entità della spesa pubblica italiana? La risposta la trovate nel libro di Carlo Cottarelli “La lista della spesa" e così, oltre che arricchirvi di numeri e nozioni, fate anche un’opera buona perché i proventi della vendita del libro sono a favore di Unicef. Cottarelli è colui che lavorava a Washington al Fondo Monetario Internazionale e che Enrico Letta, da presidente del Consiglio dei ministri, ha nominato commissario per la spesa pubblica. Aveva un contratto triennale, ma dopo un anno, e la sostituzione del premier con Matteo Renzi, ha preferito ritornare negli States.

Vediamo un po’ di numeri che si riferiscono al 2013.

 

 

n.

Miliardi

di Euro

Euro

% su

Pil

% su spesa

Totale

Abitanti, circa

60.000.000

 

 

 

 

Prodotto interno lordo

 

1.600

 

 

 

Debito Pubblico

 

2.160

 

135,1

 

Spesa pubblica

 

818

 

51,13

 

Spesa pubblica pro capite

 

 

13.700

 

 

Interessi sul debito pubblico

 

78

 

4,88

9,54

Avanzo primario (senza interessi)

 

739

 

46,19

90,34

Spesa previdenziale

 

320

 

20,00

39,12

Amministrazione Centrale:  Ministeri e enti

 

190

 

11,88

23,23

Regioni:

* spesa gestione

* per la spesa sanitaria

 

 

29

109

 

 

1,81

6,82

 

3,55

13,33

Comuni

 

61

 

3,82

7,46

Province

 

9

 

0,56

1,10

Enti locali (Università)

 

21

 

1,31

2,57

Forze di polizia

 

21

 

 

 

Addetti alle forze di Polizia

320.000

 

 

 

 

Costo per addetto

 

 

65.625

 

 

Sedi dello Stato

10.000

 

 

 

 

Uffici

34.000

 

 

 

 

Pratiche gestite dagli uffici

1.000.000

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La media del rapporto debito/PIL nell’Eurozona è 92,6%, peggio dell’Italia solo la Grecia con il 168,8%.

Dal 2010 la spesa pubblica è stata ridotta in modo significativo: -4% per i comuni; -5% per le amministrazioni centrali; - 17% per le regioni (escludendo la sanità, che è scesa solo del 2%); - 21% per le province. La spesa per le province è dell’1% e, forse anche per questo, nonostante le buone intenzioni, non sono ancora state abolite.

La spesa previdenziale è aumentata del 10% (circa 28 miliardi) ed è stata leggermente inferiore ai risparmi sulle altre voci, e così la spesa primaria è cresciuta di 4 miliardi.

Non è, quindi, vero che siano stati i pensionati a pagare la crisi, così come la riduzione dei trasferimenti a favore dei comuni non è stata così marcata come invece si è continuato a sentire.

Cottarelli scrive anche come sia necessaria la riduzione della spesa pubblica, senza che questa vada a peggiorare la vita dei cittadini.

La spesa per le auto blu non è marcata, ma il confronto con gli altri Paesi europei è raccapricciante, come gli stipendi percepiti dai parlamentari che sono molto più sostenuti che in Europa, come tutte le altre componenti, a partire dalle pensioni non collegate, in alcun modo, al periodo minimo di “lavoro" necessario, invece, per gli altri cittadini.

Qualsiasi azienda privata che dovesse sostenere oneri finanziari pari quasi al 10% del volume d’affari sarebbe votata al fallimento.

Nel 2012, le società partecipate dalle amministrazioni locali erano 7.726, con 500.000 dipendenti. Metà di queste aziende sono o di proprietà interamente pubblica o, comunque, a maggioranza pubblica. Sempre nel 2012 le loro perdite lorde (dati del ministero dell’Economia) sono state di circa 1.200 milioni di euro (senza contare le perdite con palesi coperture di contratti di servizio con le amministrazioni pubbliche. Cottarelli aveva proposto di ridurre il numero di queste aziende da 7.726 a non  più di mille.

Naturalmente gli studi di settore devono essere applicati a tutti gli imprenditori “capaci" e che impiegano i propri capitali, mentre le imprese pubbliche, spesso gestite dai trombati della politica, possono fare quello che vogliono, tanto i soldi non sono mica loro, ma dei cittadini.

Forse non c’era bisogno del libro di Cottarelli, ma è chiaro che deve finire l’epoca che “tanto paga pantalone" . Con la terribile crisi economica che stiamo vivendo, forse, è giunto il momento che tutti coloro che possono, prendano il necessario coraggio per ridurre sprechi e sperperi. Sembra che solo nel settore pubblico non si trovino mai i responsabili delle malefatte delle spese inutili e infinite che, il più delle volte, non portano ad alcun risultato apprezzabile se non quello di non far diminuire le tasse già molto alte, che si continuano a pagare. I nostri politici devono prendere coscienza che il PIL è tornato ad essere nella misura minima segnata nell’anno 2000, cioè quello di quindici anni addietro, mentre la spesa pubblica ha continuato a crescere a dismisura.

Non si vuole infierire, ma l’azienda dei trasporti di Roma ha 12.000 dipendenti, quella di Milano 9.000 e costano unitariamente il 20% in meno dei colleghi romani.

Chi si è accorto che la Corte dei Conti ha dichiarato incostituzionale il bilancio di assestamento 2013 del Piemonte perché i soldi prestati dallo Stato per attuare il piano straordinario per il rimborso dei debiti arretrati della pubblica amministrazione sono stati usati per finanziarie la spesa corrente, contravvenendo a tutte le regole contabili? Naturalmente, il problema non è solo del Piemonte, ma di tante altre Regioni e Amministrazioni locali, così che alcuni hanno quantificato il buco creatosi in circa 20 miliardi di euro.

I tempi sono maturi, e come capita nelle necessità, l’individuo aguzza l’ingegno per superare ogni avversità. Possibilmente senza perdersi in sterili contrapposizioni e per dire che la colpa dell’andazzo è sempre di altri, sperando che sia la volta buona per dimostrare che la classe politica non è davvero un piccolo “harem di cooptati e furbi".

Come diceva J.F. kennedy non bisogna chiedere cosa può fare lo stato per noi, ma dobbiamo noi impegnarci a fare qualcosa di positivo per il nostro Stato.

E’ ora. Tutti noi cittadini, nessuno escluso, non possiamo attendere ulteriormente.

di Franco De Renzo

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