25/05/2016
"La giustizia è coscienza, non di un solo individuo, ma dell'umanità tutta. Coloro che sanno ascoltare la voce della coscienza sanno ascoltare anche la voce della giustizia!" Lo scrittore russo A. Solzenicyn, molto appassionato e coinvolto dal tema dell’umanità, con queste parole sempre attuali ci ricorda che il senso di giustizia e la coscienza siano un binomio indissolubile. Sempre, in tutte le branche della vita, ad una azione seguono ben determinate conseguenze: a questo si deve dar conto.
Enormi navi da container, con a bordo, oltre a tonnellate di merci, soprattutto vite umane, hanno iniziato ad andare incontro ad incidenti, talvolta dall’esito tragico (le statistiche del World Shipping Council mostrano che le compagnie marittime hanno perso solamente nel 2013 5.578 container, di cui 4.463 per eventi catastrofici), sempre più spesso: perché? La questione, qui, prima di essere affrontata dal punto di vista regolamentare, deve essere, appunto, oggetto di un puntuale esame di coscienza.
Lo stato di fatto
L’iter delle merci era sostanzialmente così strutturato (prima dell’entrata in vigore del decreto dirigenziale 447/2016): Tizio, imprenditore - esportatore, con sede di produzione a Torino, vuol fare arrivare le sue merci a Singapore. I container con le merci di Tizio arrivano al porto di Genova, dove vengono contestualmente imbarcate su navi container, che le porteranno a destinazione, a Singapore. Ora, anche il più neofita dei lettori avrà intuito il punctum dolens dell’intera questione: gli operatori portuali incaricati al carico delle merci sulla nave controllavano a questo punto la polizza di carico, nella quale figurava (ma continuerà a figurare) la massa lorda dei container da caricare in nave. Errori di mero fatto in questa fase, o, forse, talvolta volute false dichiarazioni sul peso del carico, possono tradursi in incidenti catastrofici.
La soluzione dei burocrati
Cupiditas pecuniae homines occidit, se non c’è coscienza!
Ecco che allora, a fronte di allarmanti statistiche, entrano in gioco i nostri benamati, moraleggianti burocrati e tecnocrati, che, viste le linee guida dettate per la sicurezza in mare nella Convenzione SOLAS 74, così come emendate da una seduta del Comitato Sicurezza Marittima nel Novembre 2014, emanano il decreto 447/2016. Archiviato il discorso sulla moralità, ora la questione verte su legge e buon senso (e senso soprattutto pratico).
Beninteso, gli emendamenti apportati alla Convenzione SOLAS, i quali introducono fondamentalmente l’obbligo di pesatura dei container tramite strumenti di pesatura regolamentari, al fine di incrementare la sicurezza in mare, sono senza dubbio da vedersi positivamente (anche se costitutivi di una reazione obbligata a una imbarazzante, scandalosa mancanza di responsabilità -o di scrupoli- di alcuni operatori): il problema è come questi emendamenti trovino applicazione tramite la nostra cara legge italiana.
Un’analisi dei principali fattori problematici
Il decreto dirigenziale 447/2016 impone dunque un sistema di misurazione della massa lorda dei container destinati al carico in nave in sola teoria rigoroso ed uniforme: in prima facie si prevede l’obbligo, a decorrere dal 1 Luglio 2016, di utilizzare strumenti di pesatura regolamentari (dalla legge italiana, s’intende). Quali sono? La normativa in questione, nel nostro Bel Paese, fa riferimento ad un decreto legislativo risalente a ben 24 anni fa (d.l. 517/1992), nel quale, tra riferimenti a strumenti di pesatura estremamente eterogenei quali quelli per la pesatura di pazienti, farmaci, masse delle analisi di laboratori medici, compaiono anche i container. Questi strumenti, alla lettera della obsoleta norma in questione, non mutata peraltro in maniera incisiva da un analogo decreto del 2007, sono identificati in pese a raso. (e non ancora, salvo nel periodo di transizione di 12 mesi, in strumenti dinamici, i quali, invece, sono adottati come regolamentari in mezzo mondo).
Questi strumenti regolamentari, da una parte sono molto pochi, in numero, nei porti italiani, fattore che potrebbe facilmente portare ad una situazione di congestione dei traffici marittimi, proprio nel periodo più caldo, non solo dal punto di vista meteorologico. Dall’altra parte, a ben vedere, è lo stesso decreto a rivelare una grave contraddizione di fondo: come è possibile che si preveda, ai sensi dei due anzidetti decreti, un margine di errore di pesatura pari a +/— 20 Kg (cfr: è anacronistico, e a dir poco inadeguato utilizzare criteri di pesatura che fanno riferimento, tra l’altro, alla massa di un farmaco, o al peso di un paziente (persona fisica!) ), quando nel resto del mondo, grazie all’adozione di strumenti di pesatura dinamici, il margine di errore è, (comprensibilmente, dati i margini di tolleranza previsti dalle specifiche delle stesse navi) molto più ampio? Da questo interrogativo discende la previsione alquanto bizzarra di un periodo di transizione, di 12 mesi, in cui, oltre ad essere possibile l’utilizzo di strumenti dinamici (lo si ripete e lo si evidenzia per l’ennesima volta: nel resto del mondo questi sono già previsti come strumenti regolamentari), l’errore massimo possibile sarà di massimo 500 Kg… E poi?
A voi le debite conclusioni.
di Stefano Morelli
Presidente della commissione Dogane di Assologistica
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