09/12/2015
Lo scorso 23 settembre è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legislativo n. 151/2015 con il quale sono state introdotte, in particolare, le modifiche all’art 4 della Legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), rubricato “Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo".
La principale novità del decreto consiste nella possibilità del datore di lavoro di controllare legittimamente il dipendente sia mediante gli strumenti di lavoro concessi in uso sia mediante gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze; sempre, comunque, nel rispetto del Codice privacy.
La normativa è stata preceduta da polemiche assai vivaci tra chi paventava il via libera all'installazione di sistemi di controllo di stampo poliziesco e chi auspicava una liberalizzazione senza vincoli. Non a caso la materia è stata oggetto dell’ultimo decreto attuativo del Jobs Act; ciò a significare la delicatezza della materia. Il risultato - lo anticipiamo subito - è un compromesso piuttosto equilibrato tra le varie istanze. La precedente normativa - contenuta nell’art. 4 St. Lav.- risaliva al 1970, a cioè 45 anni or sono, quando la tecnologia offriva minori possibilità di controllo (limitandosi ad impianti audiovisivi e a qualche software rudimentale) e quando la percezione del diritto di privacy era assai differente da quella odierna. La scelta del legislatore, in questo caso, ha preso le mosse dalla necessità di dare atto dei mutamenti delle varie esigenze dovuti al passaggio del tempo ed è caduta sulla scelta di aggiornare la materia, senza stravolgere l’impianto originario.
La prima novità è stata quella di estendere la possibilità di controllo anche a finalità di protezione degli asset aziendali; finalità non prevista dal precedente articolo 4, che menzionava solo la sicurezza sul lavoro e le esigenze organizzative. Alcune sentenze, in vero, avevano già ampliato a tale finalità la possibilità di raggiungere intese sindacali o, in subordine, di ottenere determinazioni dell’Ispettorato del Lavoro; ma un chiarimento del legislatore ha tolto ogni spazio a “tesi interpretative", se non discordi tra loro.
La seconda, e più rimarchevole, novità è quella costituita dalla possibilità di utilizzare informazioni tratte dagli strumenti di lavoro per finalità anche disciplinari senza dovere chiedere l’autorizzazione a terzi (rappresentazioni sindacali o uffici del lavoro); è ora, quindi, possibile trarre informazioni da PC, tablet e smartphone, nonché da altri strumenti di lavoro dati in dotazione al lavoratore. Attenzione, però; per potere ottenere legittimamente le informazioni in questione, il datore di lavoro dovrà aver soddisfatto un duplice requisito. Il primo consiste nell’aver preventivamente e adeguatamente informato il lavoratore di tale possibilità di utilizzo. Il secondo è che comunque l’utilizzo deve rispettare le limitazioni derivanti dal diritto della privacy; la ricerca dovrà, ad esempio, limitare la selezione delle informazioni a quanto di rilevante per la prestazione lavorativa e non eccedere in indagini su argomenti irrilevanti o sproporzionati rispetto all’interesse che si vuole tutelare.
Tradotto in termini pratici, il menzionato doppio requisito porta a consigliare vivamente di aggiornare (se non a creare, in caso di assenza) le policies aziendali in tema di privacy, al fine di prendere atto dell’intervenuta modifica normativa e, contestualmente, di informare per iscritto i propri dipendenti delle novità. Solo così sì potranno sfruttare appieno le potenzialità della nuova norma.
Avv. Michele Bignami
Studio legale NCTM
via Agnello, 12 - 20121 Milano
tel +39 02 72551.1 - fax +39 02 72551.501
m.bignami@nctm.it
www.nctm.it
La principale novità del decreto consiste nella possibilità del datore di lavoro di controllare legittimamente il dipendente sia mediante gli strumenti di lavoro concessi in uso sia mediante gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze; sempre, comunque, nel rispetto del Codice privacy.
La normativa è stata preceduta da polemiche assai vivaci tra chi paventava il via libera all'installazione di sistemi di controllo di stampo poliziesco e chi auspicava una liberalizzazione senza vincoli. Non a caso la materia è stata oggetto dell’ultimo decreto attuativo del Jobs Act; ciò a significare la delicatezza della materia. Il risultato - lo anticipiamo subito - è un compromesso piuttosto equilibrato tra le varie istanze. La precedente normativa - contenuta nell’art. 4 St. Lav.- risaliva al 1970, a cioè 45 anni or sono, quando la tecnologia offriva minori possibilità di controllo (limitandosi ad impianti audiovisivi e a qualche software rudimentale) e quando la percezione del diritto di privacy era assai differente da quella odierna. La scelta del legislatore, in questo caso, ha preso le mosse dalla necessità di dare atto dei mutamenti delle varie esigenze dovuti al passaggio del tempo ed è caduta sulla scelta di aggiornare la materia, senza stravolgere l’impianto originario.
La prima novità è stata quella di estendere la possibilità di controllo anche a finalità di protezione degli asset aziendali; finalità non prevista dal precedente articolo 4, che menzionava solo la sicurezza sul lavoro e le esigenze organizzative. Alcune sentenze, in vero, avevano già ampliato a tale finalità la possibilità di raggiungere intese sindacali o, in subordine, di ottenere determinazioni dell’Ispettorato del Lavoro; ma un chiarimento del legislatore ha tolto ogni spazio a “tesi interpretative", se non discordi tra loro.
La seconda, e più rimarchevole, novità è quella costituita dalla possibilità di utilizzare informazioni tratte dagli strumenti di lavoro per finalità anche disciplinari senza dovere chiedere l’autorizzazione a terzi (rappresentazioni sindacali o uffici del lavoro); è ora, quindi, possibile trarre informazioni da PC, tablet e smartphone, nonché da altri strumenti di lavoro dati in dotazione al lavoratore. Attenzione, però; per potere ottenere legittimamente le informazioni in questione, il datore di lavoro dovrà aver soddisfatto un duplice requisito. Il primo consiste nell’aver preventivamente e adeguatamente informato il lavoratore di tale possibilità di utilizzo. Il secondo è che comunque l’utilizzo deve rispettare le limitazioni derivanti dal diritto della privacy; la ricerca dovrà, ad esempio, limitare la selezione delle informazioni a quanto di rilevante per la prestazione lavorativa e non eccedere in indagini su argomenti irrilevanti o sproporzionati rispetto all’interesse che si vuole tutelare.
Tradotto in termini pratici, il menzionato doppio requisito porta a consigliare vivamente di aggiornare (se non a creare, in caso di assenza) le policies aziendali in tema di privacy, al fine di prendere atto dell’intervenuta modifica normativa e, contestualmente, di informare per iscritto i propri dipendenti delle novità. Solo così sì potranno sfruttare appieno le potenzialità della nuova norma.
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