12/09/2013
La crisi non demorde nel nostro Paese e i bilanci delle famiglie italiane continuano a essere sotto pressione, tanto che la diminuzione del reddito disponibile reale nell’arco di appena 6 anni è del -10,2%. Inoltre gli italiani non si muovono più realmente, ma molto più virtualmente; sono 29 milioni i navigatori in internet attivi ogni mese; nasce e si consolida la figura del consumatore-internauta: se 21 milioni di italiani si limitano a leggere opinioni di altri consumatori (e a esserne influenzati), più di 8 milioni partecipano attivamente alle discussioni sui consumi online. Per 10 milioni le procedure di acquisto si sono già invertite: il prodotto si vede in negozio, ma lo si compra in internet (nell’abbigliamento l’online è salito del 41% e i prodotti tecnologici hanno registrato un +19%). Oppure nemmeno si compra più, ma si baratta o si ottiene gratis: cresce infatti il fenomeno della "sharing economy" (l’accesso al bene è più importante del suo possesso). E se alla fine qualcosa si trova nel carrello della spesa si scopre che l’italiano ama sempre più il cibo etnico (+ 6%) e ha tirato fuori un’anima verde: l’insalata si fa nell’orto (meglio se proprio) o si privilegiano prodotti biologici. Questa è parte dell'analisi emersa dal rapporto 2013 "Consumi & Distribuzione" di Coop, secondo il quale la ripresa dei consumi alimentari e non alimentari nel nostro Paese non ci sarà. "La stima di Coop per il prossimo anno è infatti di un ulteriore -0.5% nel food e -6,1% nel non-food, su una base 2013 già in significativa contrazione", dice Marco Pedroni, presidente di Coop Italia. Secondo il rapporto nell’alimentare la spesa procapite in euro all’anno si attesta intorno ai 2400 euro (nel ’71 a parità di valore della moneta si spendeva di più) e il calo in quantità rispetto ai valori pre-crisi del 2007 raggiungerà il 14%. Un insieme complesso e ben calibrato di accorgimenti (acquisto just in time, formati più convenienti, ricerca delle promozioni, spostamento di merceologie, ecc.) permetterà all’abile consumatore italiano di risparmiare solo nel 2013 circa 2,5 miliardi di euro.
E - come già detto - se alla fine qualcosa si deve pur mettere nel carrello sorprendentemente non sono i prodotti della dieta mediterranea a essere vincenti (pane e carboidrati hanno ceduto l’11% in quantità, l’olio d’oliva il 6%), piuttosto è l’etnico a farla da padrone, con una crescita del 6,4%. Circa 7,4 milioni di nostri connazionali (il 15% della popolazione maggiorenne) curano orti e giardini; il 45% dei consumatori dichiara di aver comprato prodotti a km zero e il biologico registra un fatturato in crescita del 17%. Il drammatico calo della spesa degli italiani ha avuto ripercussioni importanti sia sul commercio al dettaglio che sulla grande distribuzione generando modifiche strutturali delle rispettive reti di vendita. Il primo ha perso più di 1,5 punti di rete vendita dall’inizio della crisi, nella gdo più del 40% dell’area vendita ha subito cambiamenti, con una crescita violenta del segmento discount (+50% di area vendita dal 2007 al 2013). Confrontandosi a livello europeo, se dal punto di vista dei metri quadri rapportati alla popolazione ormai l’Italia ha superato il gap che la distingueva dal resto degli altri Paesi, dal punto di vista della reazione alla crisi è la nazione dove - assieme alla Spagna - la gdo ha sofferto maggiormente, con fatturati che non crescono. Anzi, rispetto alla Spagna, l’Italia si è caratterizzata per la contemporanea stasi dei volumi (1,4% in un quadriennio) e dei prezzi (2.7% dal 2008 al 2012). Osservando i dati della filiera alimentare ci si accorge che non tutti soffrono allo stesso modo e se nel nostro Paese i prezzi al consumo sono cresciuti molto meno della media europea, l’industria alimentare ha fatto segnare un incremento superiore alla media europea e il differenziale tra prezzi dell’industria e prezzi al dettaglio è stato quasi del 7% dal 2005 ad oggi. E' il risultato più elevato in Europa, secondo solo alla Spagna.
“I dati in nostro possesso non autorizzano nessun ottimismo per il prossimo futuro - afferma Pedroni - Accanto a un piccolo allentamento della 'sfiducia' di imprese e famiglie, restano i dati duri della riduzione del potere di acquisto, della contrazione dell'occupazione, di una distribuzione del reddito sfavorevole per i ceti popolari e per una parte importante delle classi medie. E' indispensabile che industria e distribuzione italiane lavorino insieme per sostenere la ripresa; un contributo utile può venire se entrambe si pongono con più decisione dalla parte della difesa del potere di acquisto delle famiglie; l'industria può ridurre i prezzi e i margini in percentuale, scommettendo su un possibile aumento dei volumi, mentre la distribuzione deve trasferire senza aggravi il valore sui consumatori. Il compito della distribuzione moderna è infatti quello di venire incontro a famiglie sempre più in difficoltà, assorbendo parte dell’inflazione".
a cura di Ornella Giola
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