27/07/2015

Commercio internazionale, attenzione alle clausole penali - di Alessio Totaro

I contratti internazionali contemplano spesso penali che mirano ad incentivare la tempestività e la correttezza dell’adempimento delle parti, e sanzionano inadempimenti e ritardi. Esiste però una notevole differenza tra la disciplina vigente negli ordinamenti di civil law (come, ad esempio, quello italiano) e quella sviluppatasi nei sistemi di common law (come, ad esempio, quello inglese). 
Nei primi viene di regola ammessa la facoltà delle parti di prevedere penali, e viene lasciata eventualmente al giudice la possibilità di rivederle e modificarle allorquando queste siano eccessive o sproporzionate; nei Paesi di common law tali clausole vengono invece tradizionalmente distinte in liquidated damages clauses e penalty clauses, e si ritengono di regola (ma a certe condizioni) ammissibili le prime, e prive di effetto invece le seconde. In questi ultimi Paesi, si riconosce, in particolare, validità solo alle clausole con cui le parti hanno in sostanza determinato in via anticipata i danni nascenti dall’inadempimento, e l’abbiano fatto in modo equilibrato e ragionevole, ma si considerano invece nulle e prive di effetti le clausole aventi finalità “punitive". 
Le liquidated damages clauses sono spesso riconosciute anche in numerosi Paesi arabi e del Golfo, dove in particolare la validità e l’efficacia di simili clausole è stata ripetutamente analizzata dalla giurisprudenza locale nei numerosi contenziosi sorti per i gravi ritardi verificatisi dopo il 2008 nell’esecuzione di contratti di costruzione e nella realizzazione di importanti progetti nell’area. 
Non è sempre facile distinguere tra penale “pura" e liquidated damages clause, e in considerazione della rilevanza che deriva da tale distinzione (poiché la clausola penale è nulla per i sistemi di common law) è opportuno che la parte che intenda rafforzare la propria posizione riponga particolare attenzione nella corretta formulazione della clausola. 
Un ulteriore elemento spesso considerato di peso è la circostanza che il danno sia di difficile determinazione in via preventiva, e infatti le liquidated damages clauses trovano spesso applicazione per la disciplina relativa alla violazione dei patti di non concorrenza, poiché i danni derivanti dalla violazione di simili patti sono spesso difficili da quantificare sia in via preventiva sia in concreto a seguito della violazione. 
Un esempio recentissimo di tale clausola è stato illustrato nella sentenza resa nel caso Int’l Marine (United States Court of Appeals, Fifth Circuit), dove in un contratto di vendita di due rimorchiatori era stato previsto un patto di non concorrenza gravante su parte acquirente, ed una penale pari a 250 mila dollari in caso di violazione. L’acquirente aveva eccepito che la clausola era stata determinata in modo arbitrario, ma la corte ha ritenuto che si trattasse di una previsione ragionevole proprio alla luce della difficoltà di accertare e provare in modo rigoroso i danni derivanti da una violazione del divieto. 
Spesso la penalità assume la forma di interessi moratori dovuti nel caso di ritardo nel versamento di somme dovute (ad esempio, quale corrispettivo di una vendita o fornitura): anche in tal caso l’elemento centrale è la valutazione se il tasso di interesse sia eccessivo o abnorme, come in un caso in cui un tasso di interesse pari al 260% all’anno è stato definito dalla corte di appello inglese un extraordinarily large amount, e l’intento punitivo è risultato evidente. 
Un altro caso recente e piuttosto noto nel quale la validità di una clausola penale è stata valutata dalle Corti inglesi è il caso Azimut-Benetti Spa v Healey, relativo a un contratto di costruzione e vendita di yacht, nel quale era stato pattuito che in caso di risoluzione anticipata per inadempimento del compratore, Azimut Benetti avrebbe avuto diritto a conseguire il 20% del prezzo totale a titolo di risarcimento del danno. La parte acquirente aveva sostenuto che si trattasse di una clausola penale, poiché la percentuale del 20% era stata determinata in modo arbitrario e non secondo criteri ragionevolmente prevedibili, ma la Corte è stata di diverso avviso, ritenendo che la clausola fosse commercially justifiable e non qualificabile come penale. 
Alla luce del crescente numero di contenziosi in cui la validità di simili clausole è stata posta in discussione, e del fatto che esiste ormai una produzione giurisprudenziale cospicua sul punto, con sentenze che hanno ripetutamente tracciato le linee guida per la redazione di liquidated damages clauses valide ed efficaci, si assiste ormai a clausole sempre più articolate e complesse, nelle quali i criteri seguiti per la loro determinazione vengono esplicitati in modo quanto più dettagliato possibile, e assumono peso significativo le trattative che hanno portato alla redazione delle clausole nella loro formulazione finale. 
Il beneficio di una liquidated damages clause adeguatamente calibrata è che essa esonera la parte che la invoca dall’onere di provare i danni subiti (i liquidated damages sono anzi dovuti anche qualora in realtà non vi siano stati danni). Va detto peraltro che il ricorso a simili clausole risponde a esigenze di entrambe le parti: la parte inadempiente infatti può avere un preciso vantaggio nel concordare una liquidated damages clause, poiché in tal modo determina in via preventiva l’ammontare massimo dei danni risarcibili, evitando il rischio di richieste di risarcimento per importi estremamente elevati, e garantendosi una migliore programmazione anche sotto il profilo assicurativo. 
Resta da rilevare che il venir meno della validità di una liquidated damages clause fa sorgere una situazione di incertezza potenzialmente molto grave per la parte beneficiaria della clausola, poiché è dubbio se quest’ultima abbia il diritto a ricevere il risarcimento dei danni subiti (a condizione di darne prova adeguata) oppure se la clausola deve interpretarsi come exclusive remedy for damages, con la conseguenza che la nullità della clausola priva la parte a beneficio della quale è prevista di ogni diritto al risarcimento. 

di Alessio Totaro 
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