07/06/2013

Autotrasporto, quale futuro per i costi minimi? Dell'avv. Stefano Fadda

Se la politica, ad oggi, non ha saputo trovare una soluzione per un problema che appesantisce tutta la catena logistica (e, di riflesso, l’intero sistema produttivo nazionale), una svolta potrebbe essere impressa giudizialmente. Con due recentissimi provvedimenti sono state infatti rimesse alla Corte Costituzionale ed alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea rispettivamente la questione di legittimità costituzionale e la valutazione della compatibilità con l’ordinamento comunitario dell’art. 83 bis D.L. 112/2008. La seconda prenuncia in ordine temporale era attesa da tempo (con essa, il Tar del Lazio ha rinviato gli atti della causa alla Corte di Giustizia), mentre la prima (ordinanza del Tribunale di Lucca in data 11-12 febbraio 2013) non era stata preventivata, ed i due provvedimenti, unitariamente considerati, gettano nuove ombre sul “sistema" dei costi minimi, valutato in entrambi i casi potenzialmente lesivo della libertà di concorrenza. È opportuno sin da ora segnalare che entrambi i provvedimenti, pur costituendo un passaggio importante nella “lotta" contro i costi minimi e pur rappresentando un vulnus in un sistema che sino ad oggi aveva resistito ad ogni attacco, producono limitati effetti immediati, nel duplice senso che la normativa in materia di costi minimi rimane ancora in vigore e che le cause di merito pendenti potrebbero non subire alcuna sospensione, in attesa di definizione delle questioni rispettivamente proposte alla Corte Costituzionale ed alla Corte di Giustizia (cfr., in punto, quanto più diffusamente si dirà più sotto).

Il rinvio alla Corte Costituzionale
Il Tribunale di Lucca con ordinanza in data 11-12 febbraio 2013 ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione relativa alla legittimità costituzionale dell’art. 83 bis, commi 1, 2, 6, 7 e 8 del D.L. 112/2008. La questione era stata sollevata nell’ambito di un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, con cui un vettore aveva chiesto l’adeguamento dei corrispettivi pagati dal committente in corso di rapporto alle tariffe risultanti dall’applicazione dei costi minimi. Analoga questione è stata sollevata in molteplici giudizi aventi il medesimo oggetto, ma è questo il primo caso in cui essa è stata presa in considerazione ed è quindi auspicabile che altri Tribunali assumano decisioni analoghe, in modo tale che le questioni sottoposte dal Tribunale di Lucca alla Corte Costituzionale possano essere specificate ed integrate. Con la sua ordinanza, dopo aver escluso che il meccanismo di determinazione dei corrispettivi dell’autotrasporto delineato dall’art. 83 bis contrasti con la normativa comunitaria in tema di libertà di stabilimento e prestazione di servizi, di concorrenza e di trasporti (a diverse determinazioni è invece giunto il Tar del Lazio, con la pronuncia di cui al paragrafo seguente), il Tribunale di Lucca ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità dello stesso articolo in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione. Occorre al proposito considerare che in base all’articolo 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 (“Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d'indipendenza della Corte costituzionale"), “la questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge della Repubblica, rilevata d'ufficio o sollevata da una delle parti nel corso di un giudizio e non ritenuta dal giudice manifestamente infondata, è rimessa alla Corte costituzionale per la sua decisione". Il Tribunale di fronte al quale è sollevata nell’ambito di un procedimento di merito la quesitone di costituzionalità, svolge quindi la duplice funzione di introdurre il processo costituzionale e di “filtro" per valutare la “serietà" della questione sollevata nel processo. Senza con questo voler pronosticare l’esito del procedimento attualmente pendente davanti alla Corte Costituzionale, attraverso il giudizio di non manifesta infondatezza il Tribunale di Lucca ha espresso una prima valutazione, corroborata da argomentazioni esaustive ed efficaci. Queste considerazioni generali confermano l’importanza dell’ordinanza assunta dal Tribunale di Lucca, trattandosi del primo provvedimento di cui si abbia notizia con il quale le censure proposte dalla committenza avverso l’articolo 83 bis hanno trovato il conforto di un tribunale. Il Tribunale di Lucca ha ravvisato la sussistenza dei presupposti per deferire la questione di costituzionalità dell’articolo 83 bis sotto un duplice profilo, rilevando che la norma si porrebbe in contrasto con gli articoli 41 e 3 della Carta Costituzionale. L’articolo 41 prescrive che “l’iniziativa economica privata è libera", ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La libertà di iniziativa economica include anche la libertà di concorrenza e nel caso di specie “il legislatore ha espressamente qualificato il suo intervento come diretto a tutelare la sicurezza stradale (v. rubrica dell’art. 83 bis)", introducendo un sistema tariffario che “dovrebbe essere finalizzato a garantire agli autotrasportatori, quantomeno, il recupero dei costi minimi, come determinati in via amministrativa, inclusi i costi di gestione riferibili alla sicurezza (vale a dire, i costi necessari a mantenere in efficienza i mezzi di autotrasporto - manutenzione ordinaria periodica e straordinaria - e i costi dei turni di riposo degli autisti)". L’assunto del legislatore è quindi che una tariffa minima di trasporto garantirebbe agli autotrasportatori il recupero dei costi della sicurezza, e che, quindi, “perciò stesso sarebbe garantita la sicurezza stradale (generale, di tutti gli utenti), perché, invero, sarebbe garantita l’efficienza dei mezzi di autotrasporti e la piena capacità psicofisica degli autisti (non stressati da turni di lavoro effettuati in violazione del codice della strada)". Il Tribunale di Lucca dubita che tale assunto sia corretto, osservando tra l’altro che “l’esercizio dell’attività economica di autotrasportatore per conto terzi esercitata nel rispetto delle norme del codice della strada e delle norme di tutela della sicurezza sul lavoro non è un’attività che si ponga (ex se) in contrasto con l’art. 41 Cost., così come richiesto da questa disposizione, sicché non si giustifica l’introduzione di un sistema tariffario, che limita la concorrenza e introduce una significativa barriera all’accesso a tale tipologia d’attività economica" e che la sicurezza stradale non è garantita “dall’esistenza di un sistema tariffario, ma dal rispetto di altre disposizioni legislative, presenti nel codice della strada e nella normativa sulla sicurezza sul lavoro (in punto, fra l’altro, d’efficienza dei veicoli marcianti e di turni di riposo degli autisti)", in quanto “l’esistenza di tariffe minime non offre nessuna garanzia di rispetto di queste disposizioni". In sostanza il Tribunale di Lucca ha posto in dubbio (come già prima aveva fatto l’AGCM e come ha fatto, pochi giorni dopo, anche il Tar Lazio) l’intrinseca correttezza del sillogismo costi minimi uguale sicurezza della circolazione stradale, contestandone il fondamento da un punto di vista logico. Sulla base di queste considerazioni il Tribunale di Lucca ha ritenuto che l’articolo 83 bis si ponga in contrasto con l’articolo 41 della Costituzione. Con la stessa ordinanza il Tribunale di Lucca ha ravvisato un altro profilo di possibile incostituzionalità della normativa in materia di costi minimi, per violazione del principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della Carta Costituzionale, nella specie di “discriminazione a rovescio derivante dall’applicazione del diritto comunitario". La questione attiene all’inapplicabilità (recentemente riaffermata anche dal Ministero) della disciplina dei costi minimi ai trasporti internazionali e ai trasporti c.d. di cabotaggio, disciplinati dal Regolamento (CE) n. 1072/2009 del Parlamento Europeo. Secondo il Tribunale infatti “la non applicazione della normativa interna sui minimi tariffari ai trasporti di cabotaggio (che sono trasporti nazionali effettuati in occasione in un trasporto internazionale) determina una discriminazione a rovescio degli autotrasportatori stabiliti in Italia, in relazione ai trasporti nazionali, che sono tenuti a rispettare un prezzo minimo che non si applica, invece, ai trasporti eseguiti in regime di cabotaggio", cosicché l’applicazione dei costi minimi ai soli servizi nazionali comporterebbe “rischi per gli stessi autotrasportatori stabiliti in Italia che sono costretti a subire una concorrenza alla quale, vincolati dai minimi tariffari, non potrebbero resistere", introducendo “una seria discriminazione a rovescio, che viola il principio di uguaglianza". L’ordinanza del Tribunale di Lucca è assolutamente condivisibile nella parte in cui afferma l’erroneità dell’assioma in base al quale i costi minimi garantirebbero la sicurezza della circolazione stradale; essa, però, non tiene conto di un elemento, che pure connota il regime introdotto dall’articolo 83 bis. Se infatti i costi minimi stabiliti per i contratti scritti sono determinati “al fine di garantire la tutela della sicurezza stradale e la regolarità del mercato dell' autotrasporto di merci per conto di terzi" (cfr., comma 4 dell’articolo 83 bis), quelli relativi ai contratti non stipulati in forma scritta costituiscono meri “costi di esercizio dell'impresa di autotrasporto per conto di terzi" e risultano quindi svincolati da qualsivoglia riferimento alla sicurezza della circolazione stradale, sostanziandosi quindi in mere tariffe. Sotto questo profilo, pertanto, il contrasto e l’inconciliabilità dell’articolo 83 bis con l’articolo 41 della Costituzione relativamente a costi minimi che costituiscono un’evidente misura protezionistica lesiva della libertà di concorrenza risulta ancora più evidente di quanto traspare dalla lettura del provvedimento dal Tribunale di Lucca. Queste considerazioni inducono ad auspicare che altri tribunali vogliano confermare l’indirizzo assunto dal Tribunale di Lucca, meglio evidenziando questo aspetto, che assume rilevanza decisiva ai fini della pronuncia della Corte.

I provvedimenti assunti dal Tar del Lazio

Il Tar del Lazio ha espresso invece il dubbio che sia “compatibile con il diritto dell’Unione, e con gli stessi principi affermati dalla Corte di Giustizia …., un sistema normativo che, in mancanza di una predeterminazione normativa di criteri diretti a disciplinare sia pure in via generale l’attività, nella sostanza, affida all’accordo tra gli operatori economici privati la determinazione delle tariffe minime o, in subordine, ad un organismo che, per la sua stessa costituzione, non presenta sufficienti condizioni di indipendenza rispetto alle valutazioni e alle scelte degli stessi operatori del settore" e ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea ha quindi rinviato gli atti alla Corte di Giustizia, chiedendo l’interpretazione delle norme del Trattato in materia di libertà di concorrenza e di libera circolazione delle imprese, e in particolare degli artt. 4 (3) TUE ( Trattato Unione Europea) e 101 TFUE, nonché degli artt. 49 e 56 TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea), in materia di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, e dell’art. 96 TFUE, per chiarire se tali disposizioni siano compatibili con il regime di fissazione dei costi minimi di esercizio nel settore dell’autotrasporto, introdotto dal legislatore italiano con l’art. 83 bis del d.l. n. 112 del 2008. Il Tar ha al proposito osservato che: 1. “la determinazione autoritativa ed eteronoma di costi minimi di esercizio costituisce una parte essenziale del corrispettivo del servizio e si risolve in una compressione indubitabile della libertà negoziale e, quindi, della libertà di concorrenza e delle libere dinamiche del mercato"; 2. è dubbio che “la disciplina introdotta dall’art. 83 bis citato, ed applicata con i provvedimenti oggetto di gravame, sia valutabile come congrua e proporzionata rispetto all’interesse pubblico tutelato della sicurezza stradale, così da potere trovate in detta finalità di rilievo pubblicistico adeguata e sufficiente giustificazione"; 3. “la realizzazione di maggiori utili di impresa, come assicurati dalla fissazione autoritativa di costi minimi di esercizio, non appare direttamente e necessariamente strumentale rispetto al fine perseguito della sicurezza stradale", anche in considerazione del fatto che “non costituisce neanche misura astrattamente idonea a garantire la sicurezza, se non in stretta correlazione con l’adozione di altre misure di sicurezza (non sussistendo altrimenti alcuna garanzia che i maggiori margini di utile connessi alla fissazione di un livello minimo di prezzi siano destinati a coprire i costi delle misure di sicurezza)". Sulla base di queste considerazioni, il Tar “dubita che sia compatibile con il diritto dell’Unione, e con gli stessi principi affermati dalla Corte di Giustizia nella menzionata sentenza, un sistema normativo che, in mancanza di una predeterminazione normativa di criteri diretti a disciplinare sia pure in via generale fattività, nella sostanza, affida all'accordo tra gli operatori economici privati la determinazione delle tariffe minime o, in subordine, ad un organismo che, per la sua stessa costituzione, non presenta sufficienti condizioni di indipendenza rispetto alle valutazioni e alle scelte degli stessi operatori del settore". Il Tar ha quindi domandato alla Corte di Giustizia di decidere: 1. “se la tutela della libertà di concorrenza , della libera circolazione delle imprese, della libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi ( di cui agli artt. 4 (3) TUE, 101 TFUE, 49 , 56 e 96 TFUE) sia compatibile, ed in che misura, con disposizioni nazionali degli Stati membri dell’Unione prescrittive di costi minimi di esercizio nel settore dell’autotrasporto, implicanti fissazione eteronoma di un elemento costitutivo del corrispettivo del servizio e, quindi, del prezzo contrattuale"; 2. “se, ed a quali condizioni, limitazioni dei principi citati siano giustificabili in relazione ad esigenze di salvaguardia dell’interesse pubblico alla sicurezza della circolazione stradale e se , in detta prospettiva funzionale, possa trovare collocazione la fissazione di costi minimi di esercizio secondo quanto previsto dalla disciplina di cui all’art. 83 bis del d.l. n. 112/2008 e successive modificazioni ed integrazioni"; 3. “se la determinazione dei costi minimi di esercizio, nell’ottica menzionata, possa poi essere rimessa ad accordi volontari delle categorie di operatori interessate e, in subordine, ad organismi la cui composizione è caratterizzata da una forte presenza di soggetti rappresentativi degli operatori economici privati di settore;, in assenza di criteri predeterminati a livello legislativo". Nella stessa data, con sentenza non definitiva, al Tar del Lazio ha anche rigettato le eccezioni preliminari proposte dai resistenti nei confronti del ricorso proposto contro gli stessi provvedimenti di attuazione dell’articolo 83 bis dall’AGCM, rinviando analogamente gli atti alla Corte di Giustizia. Anche in questo caso è possibile proporre alcune osservazioni: Questo provvedimento è ancora una volta estremamente significativo, in particolare in quanto scardina il più volte criticato assioma in base al quale tra costi minimi e sicurezza della circolazione stradale esisterebbe un collegamento biunivoco.

Effetti dei provvedimenti in esame sui procedimenti pendenti
Occorre subito chiarire che i provvedimenti sopra richiamati non sortiscono alcun effetto diretto sulla normativa in materia di costi minimi, che continua ad essere in vigore ed applicabile. È peraltro legittimo attendersi che, in pendenza dei procedimenti di rinvio alla Corte di Giustizia ed alla Corte Costituzionale, eventuali giudizi aventi ad oggetto rivendicazioni tariffarie possano essere sospesi. Sul punto, peraltro, non vi è alcuna certezza. La prevalente giurisprudenza di legittimità ha infatti fornito un’interpretazione restrittiva dell’articolo 295 c.p.c., in base al quale “il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa". In base a questa interpretazione, “la sospensione «necessaria» del processo civile (NDR. di cui all’articolo 295) ricorre unicamente nelle ipotesi di pregiudizialità in senso «tecnico – giuridico» (necessità che il giudice adito od altro giudice definisca previamente, con efficacia di giudicato, una controversia costituente l'indispensabile antecedente logico - giuridico della decisione della causa pregiudicata), ovvero nei casi in cui la stessa legge preveda che il giudicato di una causa (pregiudiziale) esplichi efficacia nell'altra (pregiudicata; cfr., in tal senso, e pluribus, Cass., a s.u., n. 5631 del 1996 e n. 4179 del 1997 cit.). E, a tal proposito, non è inutile sottolineare che, come si è negato che la questione incidentale di legittimità costituzionale della legge applicabile nel singolo giudizio possa qualificarsi siccome «pregiudiziale» nel senso ora detto, cosi deve giungersi ad identica conclusione relativamente alla c.d. «questione pregiudiziale comunitaria», in quanto l'oggetto di ambedue le questioni non è costituito da un rapporto o stato giuridico, distinto dal diritto controverso e ad esso pregiudiziale, ma riguarda l'interpretazione e-o la «validità» del diritto applicabile alla concreta fattispecie; giudizio, questo, attribuito alla cognizione «accentrata» di Organi istituiti ad hoc da speciali discipline, in ragione di specifiche esigenze di «garanzia» dell'ordinamento costituzionale (interpretazione ed applicazione delle leggi in senso conforme a Costituzione) e dell'«ordinamento giuridico comunitario»" (Cass., 14 settembre 1999 n. 9813 e, nello stesso senso, Cass., sez. un., 1 ottobre 2003 n. 14670). Nella giurisprudenza recente della Corte di Cassazione consta peraltro un precedente contrario a tale interpretazione, in base al quale , quando “la medesima questione sia già stata sottoposta all'esame della giustizia comunitaria (o perché proposta da altri al Tribunale di prima istanza di Lussemburgo, oppure perché sollevata da un primo giudice nazionale direttamente dinanzi alla Corte di Giustizia) il successivo giudice nazionale (non di ultima istanza) cui sia stata sottoposta una controversia sullo stesso punto, la cui soluzione dipenda anch'essa dalla decisione che verrà adottata dalla giustizia comunitaria, può legittimamente sospendere, in attesa di questa pronunzia, il giudizio che pende dinanzi a se, senza che sia necessario a questo fine che sollevi a sua volta la medesima questione dinanzi alla giustizia comunitaria" (Cass., 9 ottobre 2006, n. 21635). È quindi opportuno che nei procedimenti pendenti aventi ad oggetto rivendicazioni tariffarie in base al sistema dei costi minimi, sia proposta istanza di sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c.. In questo senso, il Tribunale di Tortona (primo, di cui si abbia notizia) ha già sospeso tre distinti giudizi relativi ai costi minimi, in attesa che sia definito il procedimento pendente davanti alla Corte di Giustizia UE.
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