05/11/2013

Assemblea Assoporti, sogni o realtà? di Giovanna Visco

Con un colpo d’occhio, attinto dalla tecnica sociologica di analisi del contenuto, nella recente relazione presentata da Pasqualino Monti, presidente dell' Associazione delle Autorità portuali (AP) Assoporti, si richiama molte volte il termine “logistica", si cita una sola volta “Authority dei Trasporti" e “apparato produttivo", non viene mai menzionato il termine rinfuse. Il porto è disegnato come un universo fatto di navi RoRo, di gigantesche portacontenitori sterilizzate da qualsiasi richiamo al transhipment - economia di scala delle compagnie di navigazione (non delle merci) - e di navi da crociera, per le quali è auspicato un coordinamento con gli aeroporti sotto l’egida delle AP. Nella relazione si parla poi di autodeterminazione finanziaria e della necessità di un cambiamento strutturale delle AP, nella direzione di un modello organizzativo di SpA con un CdA al posto del Comitato portuale, prospettando la creazione-attuazione di un Fondo, costituito principalmente con quote addizionali del gettito IVA, ipotizzato presso la Cassa Depositi e Prestiti (CDP), che così potrebbe svolgere, nel disegno della relazione, un ruolo di intermediario finanziario “abilitato ad attivare tutti gli strumenti finanziari", quali cofinanziamenti dei project financing, coinvestimenti del Fondo negli investimenti della società di progetto (SPV) e sottoscrizione di project bond. In questo modello portuale senza rinfuse (chissà se nelle intenzioni degli autori si rinuncia anche all’IVA che producono), senza terminalisti (del tutto depennati dal ragionamento sebbene siano il salto che ha consentito la crescita dei porti italiani dal 1994) né lavoro portuale e senza un Piano generale nazionale (mai menzionato). Si affida tutto nelle mani delle AP e del Mercato, inteso non come economia reale identificabile e quantificabile in termini di produzione, consumi e servizi che gravitano sui porti, ma come divina astratta entità, una sorta di “mano invisibile", sganciata completamente dai principi basilari del suo creatore, il filosofo economista Adam Smith, che tra i capisaldi di autoregolazione del mercato metteva come condizione necessaria l’esistenza, oggi potremmo dire di innumerevoli PMI, non sufficientemente grandi da condizionare individualmente il sistema. Ma balzando dal pensiero settecentesco ad oggi, si potrebbe obiettare che seguire brutalmente il principio “più navi ti arrivano più puoi investire", trova un limite non affrontato nella relazione, nella sostenibilità ambientale ed economica delle attività dei porti, che può trovare un equilibrio risolutorio logistico e politico solo ad un livello di Piano nazionale.
Il senatore Franco Bassanini, presidente di CDP e della Fondazione Astrid, che si occupa di studio delle riforme istituzionali ed amministrative e che insieme alle Fondazioni Res Publica e Italiadecide ha presentato pochi mesi fa un nutrito e articolato rapporto intitolato "Sviluppo dei porti e crescita dei traffici e dei commerci" di impostazione molto diversa dai recenti orientamenti di Assoporti, ha frenato fortemente l’abbrivio del presidente Monti sul ruolo di CDP, richiamando più volte “la forte responsabilità nei confronti delle famiglie che le affidano i propri risparmi".
Ma è stato Aurelio Regina, vicepresidente di Confindustria, a soffiare una ventata di realismo sull’Assemblea, introducendo, finalmente, i dati economici determinati dalla recessione tra i quali il -25% della produzione, il – 15% di perdita degli impianti industriali, il -1.800.000 posti di lavoro, -12,7% dei consumi aggregati. Il vicepresidente Regina ha sottolineato senza equivoci che è necessario e non rinviabile, per la prima volta in Italia, per senso di responsabilità storica verso le generazioni future, “dare al nostro Paese un chiaro disegno di riforme che lo trasformino culturalmente e strutturalmente" con un “Piano di riforme globali strutturali che mettano in sinergia. Quello dei porti è un pezzo di politica industriale".
Emanuele Grimaldi, presidente di Confitarma, in tono pacato ma puntuale, da parte armatoriale ha rappresentato l’esigenza di un cambiamento interpretativo del ruolo delle AP, dismettendone la prevalenza statica di “rigido controllo politico-istituzionale di amministrazione locale" a favore di un ruolo commerciale “di promozione delle iniziative imprenditoriali". Ha espresso anche un giudizio positivo sulle modifiche previste dal disegno di legge di riforma portuale al Senato che semplificano e snelliscono la burocrazia, “pre-requisito per ogni forma di sviluppo dei traffici"; mentre sull’autonomia finanziaria delle AP pur condividendo che “il tetto dei 90 milioni di euro annui possa rappresentare un limite alle potenzialità dei porti nazionali", auspica che “l’applicazione di tali disposizioni venga attentamente monitorata a livello centrale dal ministero" per evitare “inutili duplicazioni di opere e l’insorgere di patologie tariffarie dei servizi a livello locale" auspicando che lo sforzo sistemico “assecondi le vocazioni commerciali dei singoli scali già delineate spontaneamente dal mercato". Ha poi valutato come “soluzione equilibrata e sicuramente migliorativa" quanto modificato nel disegno di legge sui servizi tecnico-nautici e la scelta “assolutamente necessaria e pienamente condivisa da Confitarma, di mantenere un controllo centralizzato delle tariffe attraverso un'istruttoria svolta in sede ministeriale" per “garantire trasparenza e uniformità applicativa ai principi e ai criteri regolatori del settore". Guardando alle forti difficoltà economiche del settore e auspicando collaborazione tra Assoporti e Confitarma, il presidente Grimaldi si è mostrato infine ottimista sulle potenzialità future “Se il cluster marittimo italiano saprà essere unito e opererà con intelligenza, non vi sono limiti agli obiettivi che potremo raggiungere".
E di unità ha parlato anche il ministro Lupi nel suo intervento conclusivo, ma con un ragionamento assolutamente inedito nella storia della politica dei Governi italiani, che potrà restare negli annali di questa assemblea, almeno in quelli di chi da anni come Assologistica si batte per disseminare nel Paese la logica della logistica delle merci. Per la prima volta, il ministro nel suo discorso istituzionale ha introdotto con chiarezza la centralità della logistica intesa come supply chain delle merci - un concetto ribadito da Assologistica anche nell’ultima audizione sul disegno di riforma degli interporti alla Commissione Trasporti alla Camera presieduta da Michele Meta, che nel suo intervento ad Assoporti ha annunciato la presentazione di alcuni emendamenti da parte della sua Commissione sulle questioni portuali urgenti. Il ministro Lupi ha spiegato che la governance logistica non può essere rivendicata da singoli soggetti, porti o interporti che siano, né le loro riforme separate possono rappresentare risposte valide alla competitività del sistema. L’unica scelta valida e necessaria per il ministro è “concentrarci sulla filiera in un unico soggetto, che la metta al centro della programmazione". “La grande sfida è logistica" e si traduce a sua volta in una nuova sfida, che è “dialogare tra sistemi" con un progetto complessivo di riorganizzazione in 8 distretti logistici, che dovrebbero nascere da un’unica Legge di riforma, semplice e che metta in sinergia tutte le infrastrutture. Quindi “la sfida è unire", che per i porti si traduce in accorpamento delle AP per ridurne il numero. Unità di tutti i soggetti coinvolti è la parola d’ordine lasciata dal Ministro Lupi a questa Assemblea, per “fare quel passo in più" che consente di intercettare il traffico che graviterà nel Mediterraneo entro il 2020 (circa 60 mln di teu).

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